ALESSANDRO SAVELLI

Alessandro Savelli
“I personaggi eretici, obliqui rispetto a movimenti e generazioni vivono dentro a una loro comunità non allineata e ci consegnano un’opera non attuale e sempre attuale, libera da ismi e categorie”, così pensava il grande Antonin Artaud, che di scelte “non allineate” e atteggiamenti obliqui certo ne sapeva qualcosa; è una frase, questa, che Alessandro Savelli ama citare: il suo pensiero, del resto, sebbene meno estremo, è fedele da sempre all’esigenza di libertà e autonomia da “ismi e categorie”; la sua è un’opera non attuale e dunque sempre attuale, è fuori dalle mode, quindi, in un certo senso, eterna. Lontanissimo per pensiero e ricerca dalla tentazione della “trovata” accattivante, della boutade che fa parlare, Savelli è un artista che crede ancora nella tela e nel colore, nel mestiere della pittura: quel mestiere che chiede concentrazione e contemplazione, che affida le proprie emozioni e il proprio sentire al gesto, al segno, alla pennellata, allo studio di un accostamento cromatico, alla forza di una linea.
Forte di una tecnica pittorica consumata, che non concede nulla all’improvvisazione, nel momento della creazione, Savelli può permettersi di lasciare libero sfogo all’emozione, di procedere senza precludersi nessuna possibilità, pronto a stupirsi del proprio sentire e di osservare con sorpresa cosa il proprio istinto ha trasmesso sulla tela. Ed è esattamente questo che offrono le sue opere: emozioni. Esse parlano allo spettatore rivolgendosi a lui con garbata decisione, catturano il suo sguardo e lo trasportano in mondi lontani, sospesi, incantevoli. Protagonista è sempre il paesaggio: un rapporto con il vero – con le “cose terrene” – che per Savelli è imprescindibile, necessario bandolo della matassa per non smarrirsi nei meandri dell’astrazione; un legame con la Terra, con il luogo del vissuto (sia esso reale o immaginario), che permette di osservare il cielo da una posizione privilegiata, di contemplare la luna e le stelle senza perdersi nell’Universo.
Ci si ferma volentieri davanti a un dipinto di Savelli. Ci si ferma e se possibile ci si siede, meglio se su una comoda poltrona, come diceva Henri Matisse, perché subito viene voglia di osservarlo con calma. Immediatamente colpisce il perfetto equilibrio tra la forza espressiva della scelta cromatica e del segno e la dolce armonia dell’insieme. Mai brutale, mai violenta, l’opera di Savelli parla con fermezza senza aggredire, regalandoci sensazioni avvolgenti, risvegliando ricordi, stimolando l’immaginazione. Impossibile non incantarsi di fronte allo straordinario tessuto cromatico: i toni di viola, ad esempio – tanto inconsueti quanto vibranti ed emozionalmente potenti –, i tocchi di oro – dove l’oro non è lusso e decorazione ma luce e energia – e soprattutto i neri. I neri e non il nero: i neri declinati in tutte le possibili sfumature. E accanto a un nero sempre un lampo di luce, il balenare di un tono chiaro. Il dialogo tra gli opposti – quell’accostare la terra al velluto, per usare una felice espressione dello stesso artista – è una delle principali virtù dell’opera di Savelli. La ricerca di un equilibrio degli opposti non si esprime, infatti, solo nella contrapposizione cromatica ma anche nella giustapposizione di forme curve e linee rette e nell’impaginazione stessa del dipinto. A dispetto dell’apparente casualità dinamica delle pennellate, nelle composizioni si intravede sempre un rigore geometrico di fondo, reso evidente dalla presenza di linee rette che attraversano il dipinto, intersecandosi talvolta a formare una croce (quasi una traccia dei suoi giovanili studi di architettura). Accanto a queste linee spesso compaiono figure geometriche, a campiture piatte, presenze immobili necessarie che costituiscono la struttura architettonica del dipinto e aiutano lo sguardo a non smarrire le coordinate e a orientarsi nel vortice cromatico, accompagnandolo nelle profondità dello spazio, in un viaggio che coinvolge i sensi, che regala suggestioni visive, tattili ma anche sonore, vista la straordinaria musicalità del linguaggio dell’artista. Alla musica, del resto, si sono riferiti molti critici che in passato hanno scritto per Savelli. Il suono e il suo opposto – il silenzio – sembrano permeare le composizioni, scandendo il ritmo della pennellata, del tocco di colore, della linea. Una musicalità che si percepisce anche in uno degli aspetti forse meno noti della ricerca del pittore, che invece, a mio parere, occupa un ruolo di rilievo nella sua produzione: le opere su carta. Nelle grafiche, nei disegni, nei collage su cartone, Savelli sembra smussare i toni barocchi tipici di molte sue tele, per concentrarsi sulle geometrie pure, sui rapporti tra le forme, sul ritmo, appunto. Ed è proprio nelle carte che emergono con evidenza il suo interesse per la materia e la sua capacità di dominare i colori, nelle loro più sottili e inaspettate sfumature e negli accostamenti più complessi.
Una produzione straordinariamente coerente, dunque, dalle motivazioni profonde, costruita su anni di esperienza e serio lavoro, fin dagli anni del liceo a Brera e dell’università. Una ricerca che non ha mai fatto concessioni alle mode, che è rimasta fedele alla propria idea anche quando il panorama internazionale si rivolgeva ad altro genere di espressione artistica, preferendo all’informale il concettuale, alla pittura su tela l’installazione. Per Savelli l’Arte – “questa falsità straordinaria che porta al sogno” – è un mezzo di conoscenza, di espressione e di emozione. E’ poesia e, soprattutto, è meraviglia. Meraviglia, si badi, non stupore, non sensazione, non spettacolo...
(dal catalogo della mostra allo Schafstall Museum di Neuenstadt, 2010)