ANGELO DOZIO

Angelo Dozio
“Che senso ha oggi fare arte?” si interroga Ange-lo Dozio in uno scritto del 1985; “in una società, come l’attuale, dove il pensiero critico e le facoltà creative sono troppo spesso messe a dura prova da uno spirito estremamente materialistico, ritengo, secondo una mia esperienza personale, che la funzione artistica sia una testimonianza. Da quando l’uomo ha cominciato a scrivere e a ‘segnare’ la sua storia, provenendo da culture, da comportamenti, da società e da esperienze sempre diverse, ha sempre e comunque lasciato una traccia di conoscenza del mondo. Ora è il nostro turno! Non possiamo più restare indifferenti a quanto accade intorno a noi. In una società tecnologica a sviluppo avanzato sembra quasi che il computer abbia sostituito l’intervento umano. Può il computer, in effetti, sostituirsi alla creatività umana?”. In queste poche righe si racchiude buona parte della ricerca di Angelo Dozio, una ricerca articolata nella forma, ma semplice (dove per semplice non si intende, naturalmente, banale) e lineare nei contenuti. Do-zio auspica un mondo a misura d’uomo, una so-cietà dove popoli diversi convivano in armonia. Il rigore dei suoi segni, delle sue linee che si interse-cano, dei suoi labirinti suggerisce allo spettatore – all’Uomo – nuovi mondi da esplorare, orizzonti aperti che invitano ad andare avanti, in cerca di altre ‘dimensioni possibili’.
L’ingresso dell’artista nell’astrattismo, la scoperta del proprio linguaggio d’elezione, si compie negli anni settanta, con la serie degli Orizzonti. “Intorno al ’68 mi ispiravo al volo delle rondini – spiega Dozio – studiandone le geometrie. Da qui, puntando all’essenziale, sono arrivato a cancellare ogni riferimento all’immagine, allontanandomi dal figurativo, concentrandomi sulle armonie delle linee curve. Dalle curve sono passato agli orizzonti, dei monocromi ispirati a quello che considero il ‘balcone dell’universo’”. Gli Orizzonti, queste linee rette, tracciate con segni precisi sulla superficie della tela, sono state giustamente definite “un palco sull’infinito”, un invito a passare il limite, ad assaporare il nulla. Pur in questa sospensione nel vuoto, però, l’Uomo non smarrisce se stesso e il vincolo con la realtà quotidiana è saldo ed evi-dente; la ‘nostra’ realtà sembra anzi moltiplicarsi, espandersi, liberarsi finalmente oltre il limite imposto dalla consuetudine: la porzione di spazio a cui siamo abituati non è mai sembrata così piccola… Dagli Orizzonti ai Labirinti il passo è, tutto sommato, breve. Nelle texture multicolore dei Labirinti l’occhio sembra perdersi, rapito dalla verità cromatica e dal complesso intreccio di linee, di assi cartesiane, di segni incrociati. Eppure, a guardar bene, ancora una volta non siamo soli nel nostro viaggio: l’artista ci ha lasciato una traccia da se-guire, ci ha indicato un percorso possibile, segna-to dalle linee diagonali continue che, come un filo d’Arianna, salvano lo sguardo dalla vertigine del labirinto. Una volta scoperta la via di fuga, la tentazione di abbandonarla per smarrirsi di nuovo è forte: i labirinti di Dozio sono luoghi tutt’altro che spaventosi, e perdere lo sguardo nella vivace tra-ma che li compone è un’esperienza coinvolgente, divertente, simile a quella prodotta da certe opere di arte cinetica e programmata. In cinquant’anni di attività Dozio ha seguito una sua linea di pensiero coerente e precisa, concedendosi ben poche digressioni e distrazioni. Oggi lavora ancora, senza tregua, con il medesimo entusiasmo e la stessa voglia di sperimentare. Quando parla della sua opera lo sguardo si illumina, sul volto compare un sorriso che racconta una vita spesa per l’arte, sen-za ripensamenti.
(testo tratto da Qui, già, oltre. Brianza: terra d’artisti, Silvana editore 2009)