FABIO GIANPIETRO

Fabio Gianpietro
L’abbraccio tra arte e scienza ha radici profonde: dalle visionarie sperimentazioni di Leonardo agli studi percettivi dei cinetico-programmati, gli esempi in merito sono talmente numerosi da permettere di tracciare un percorso che copre l’intera storia dell’umanità. Un simile discorso, però, necessita innanzi tutto una precisazione: la relazione tra creatività artistica e tecnologia è interessante quando le due discipline si incontrano per generare contenuti e concetti capaci di sollecitare riflessioni e per offrire agli artisti nuove possibilità espressive. Troppo spesso, invece, abbiamo assistito all’impiego pretestuoso di nuove tecnologie per produrre trovate di poco spessore, spettacoli a uso e consumo di chi dall’arte cerca lo “stupore immediato”, l’abbaglio di un fuoco d’artificio senza alcun seguito. La premessa mi pare importante poiché qui si sta parlando di un artista, un pittore, che ha deciso di introdurre un sofisticato ritrovato ottico nella propria cifra stilistica. Immagino che siano ben pochi (sempre che ce ne siano) coloro che hanno indossato gli occhiali che Fabio Giampietro porta con sé per presentare il progetto e non hanno provato meraviglia, trattenendo il fiato per un istante. Bisogna di dire, però, che non solo l’opera di Giampietro ma qualsiasi immagine proiettata in quel modo davanti ai nostri occhi avrebbe generato la medesima reazione. E questo è il punto, a mio avviso, il nodo focale della questione. Qualsiasi immagine avrebbe generato la “meraviglia”. L’opera di Giampietro apre invece la strada alla “riflessione”. Non è un’immagine qualsiasi: è il suo lavoro, il suo modo di dipingere, la sua visione del mondo che trae dalla tecnologia nuova linfa vitale, crescendo e dirigendosi verso diverse possibilità espressive e concettuali grazie a un nuovo ritrovato scientifico e non per un nuovo ritrovato scientifico. Quello che noi vediamo nella terza dimensione, altro non è che un’opera che, nonostante la novità percettiva, continua a essere un quadro, realizzato con la tecnica che da sempre contraddistingue la ricerca dell’artista: ne percepiamo la pennellata, il gesto con cui il colore viene “sottratto” dalla superficie, il disegno prospettico, la scelta cromatica che rendono le tele di Giampietro – artista giovane ma già dalla personalità ben definita e sicura – inconfondibili. Questa nuova modalità visiva non inventa ma semmai rafforza elementi già presenti nella sua ricerca. Il tema del tempo, ad esempio, che diventa centrale in questa nuova versione. Le visioni di Giampietro ci trasportano in una dimensione straniante, nella quale lo spazio-tempo non esiste. Sospese tra l’oggi e il domani, le città ritratte sono al contempo reali e immaginifiche, possibili eppure innaturali. In bilico tra la fantasia in bianco e nero di Jules Verne, la carica visionaria di Sant’Elia e l’inquietudine di Blade Runner, sono spazi talmente magici e sospesi da sembrarci famigliari, come se ci raccontassero il nostro domani, ricordandoci il nostro ieri. Un futuro fermo nell’attualità, che respira ancora il passato. Questo cortocircuito temporale costituisce probabilmente la vera forza dell’opera dell’artista, la sua carica evocativa, la sua capacità di attrazione e fascinazione. Perduti in una memoria che riconosciamo come nostra ma che in verità non ci appartiene, in grado di sollecitare ricordi e stimolare fantasie futuribili, quei luoghi moltiplicano ora il loro potenziale, facendosi avvolgenti e tangibili, vivendo in tre possibili dimensioni: quella del quadro dipinto, quella virtuale e quella rielaborata dopo l’esperienza della visione tecnologica. Tre momenti nello spazio-tempo che si sovrappongono, si intrecciano, sviluppano una riflessione straordinaria sulla percezione del fruitore dell’opera, ma anche sulle dinamiche creative dell’artista, dando a una tecnologia che a “noi profani” pare oggi eclatante ma che certamente nei prossimi anni diventerà consuetudine nella nostra quotidianità, una nuova ragione di essere.

(2015)