GIANCARLO BULLI

Giancarlo Bulli

Toscano di origine ma lombardo di adozione, Bulli si forma nella tradizione pittorica tirrenica ma trova se stesso nello straordinario fermento degli ambienti milanesi degli anni Sessanta. Il clima è quello meraviglioso della scena culturale milanese di quegli anni: medico di professione, Bulli entra in contatto con le avanguardie artistiche, dialogando con loro e ritagliandosi un proprio spazio, mettendosi in gioco, cercando sempre nuove strade, pur nella sostanziale coerenza della propria ricerca.
Partito, come molti della sua generazione, da un linguaggio di matrice informale – non è un caso che il testo critico della sua prima personale sia firmato da Ennio Morlotti – Gian Carlo Bulli approda ben presto alla terza dimensione, incontrando nel legno la propria materia d’elezione.
In un percorso personale ricco di cambiamenti, di ripensamenti, di rielaborazioni, in una strada fatta di partenze e arrivi, di ritorni repentini e sterzate altrettanto impreviste, Bulli affronta il processo creativo con una libertà sorprendente. Con ordine, rigore, dedizione e con un’evidente esigenza di perfezione, Bulli si allontana e si riavvicina dai medesimi temi, guardandoli da punti di vista diversi, studiandoli da differenti prospettive, recuperandoli dopo anni, approfondendoli grazie a una crescente sapienza compositiva, a una maggior abilità tecnica, a un mestiere di cui è progressivamente sempre più padrone; un’incessante e mai soddisfatta voglia di miglioramento che perdura (e questo è sorprendente) anche oggi, in una fase in cui altri avrebbero smesso di cercare, si sarebbero accontentati del proprio passato o avrebbero finito con il rifare, stancamente, se stessi, ormai sazi e appagati dalla propria storia personale. A testimoniare questa attitudine mai sopita basterebbero le opere datate 2016 esposte in mostra. Opere realizzate in questi ultimi mesi, sfidando la debolezza dell’età e la stanchezza, opere che mantengono ancora la freschezza di una scoperta, di chi non si è ancora arreso al mestiere e ha ancora voglia di dire la sua, di riflettere sulla grammatica dell’arte, sulle questioni cruciali che ne hanno caratterizzato negli anni la ricerca. E di nuovo colpisce la coerenza. Una coerenza che supera ogni mutamento stilistico e rende comprensibile quel tracciato a spirale che l’artista sembra aver percorso negli anni. Le opere di Bulli, del resto, non sono schiave di un’epoca precisa. Vivono in uno spazio-tempo indefinibile e assoluto; esse sono, potremmo dire, metastoriche, si collocano al di sopra del tempo pur dialogando con esso, indissolubilmente legate, come sono, all’epopea dell’umanità. Colonne di templi immaginari, lapidi e muri segnati dallo scorrere dell’esistenza, oggetti che evocano antiche civiltà, riti ancestrali e società arcaiche, luoghi della memoria e dell’immaginario comune che si fanno presenze tangibili, archetipi di mondi che ci pare di conoscere o quantomeno di aver incontrato da qualche parte: ma non si tratta di citazionismo; Bulli non rivisita l’opera archeologica né la descrive in alcun modo, piuttosto la suggerisce, mediante affinità elettive di forme, di colori, di texture, di atmosfere.
Le sculture di Bulli, imponenti anche quando sono di piccole dimensioni, occupano lo spazio che le ospita, instaurando subito un riverente silenzio intorno a loro. Hanno la pesantezza del metallo e la seduzione cromatica della terra, la solennità della pietra ma sono organiche e vive come il materiale di cui in realtà sono fatte: il legno. Del legno hanno la duttilità, la potenziale dinamicità, il calore e la straordinaria qualità tattile. Contraddittorie e difficili da fermare in una definizione sintetica, esse cercano l’immobilità ma vivono nel ritmo, sono composte secondo rigorose e armoniose regole matematiche ma sono figlie dell’istinto e dell’intuizione.
(dal testo in catalogo della mostra allo Spazio heart, Vimercate, 2016)