MAURO BENATTI

Mauro Benatti
…Nel suo studio le schegge del passato si sommano ai reperti del presente, in un antro magico, fatto di oggetti, pezzi di legno, pietre, gambe di vecchi tavoli e reti arrotolate, fermi in attesa di diventare corpi, di diventare figure, di diventare Arte. Tutto appare confuso, nulla di predeterminato, nessuna impostazione a priori. È la materia che risveglia l’immaginazione e dà un senso a ogni cosa, guidando il gesto. La materia che chiama Benatti, lo seduce come farebbe una sirena con il suo canto, lo incanta, risvegliando la sua immaginazione. Impossibile trovare un codice, un metodo di lavoro, se non questo libero vagare della mente tra le suggestioni della materia, tra i frammenti che, rimasti in silenzio per anni, improvvisamente si svegliano e lo chiamano.
Un processo, questo, che funziona anche per l’opera grafica. I disegni di Mauro non sono, come si potrebbe pensare, progetti per le opere plastiche. La creatività libera e istintiva, è chiaro, non lascia spazio per lo studio preparatorio. Essi nascono quasi per caso, suggeriti dal modo in cui il foglio reagisce al colore, in cui la carta assorbe o respinge l’inchiostro. Anche i fogli devono avere una storia; la perfezione della carta da disegno ha ben poco da raccontare, anzi, impone delle regole – regole che Benatti conosce a perfezione ma che preferisce infrangere sistematicamente, per seguire l’istinto –; molto meglio i fogli trovati casualmente, carta da macellaio o pagine strappate da un vecchio album per fotografie.
È qui che l’estro di Benatti prende il volo, senza paura di sporcarsi le mani e macchiare il disegno. Mauro sembra costantemente in cerca di un mezzo per sfuggire alla maniera; un rifugio per chi come lui, insegnante di disegno, fatalmente attratto dalla compostezza della tradizione accademica, è talvolta costretto a ingaggiare una vera battaglia contro la tentazione dell’ordine scolastico, del disegno “finito”.
Anche l’uso della materia è altrettanto libero, mai scontato. Straordinario è il modo in cui Benatti accosta frammenti di origine diversa, avvicinando la superficie ruvida di un sasso a quella liscia di una lastra di metallo, l’irregolare trama di una rete arrugginita alle geometrie naturali di un pezzo di pietra; e affascinante è il modo in cui egli sa infondere la vita a questa materia, creando corpi in movimento, dinamici e vivi. Sono oggetti che spesso raggiungono la loro perfezione nella luce, quando possono giocare con le proprie ombre proiettate sui muri, trovando una nuova dimensione.
Da tanta libertà creativa ci aspetteremmo una scelta espressiva di matrice astratta, o quantomeno informale. Invece Mauro sceglie la via della figura, e di una figura classica, monumentale, dal respiro arcaico, che guarda al mito, alla storia. Proprio in questo risiede, a mio parere, gran parte della magia dell’opera di Benatti: in questo affascinante incontro di casualità e assoluto, di armonia classica e istinto primigenio. Le sue opere, che dichiarano il suo amore per il mito e per l’antico fin dai titoli, sono un inno all’armonia della natura, alla bellezza e alla sensualità del corpo femminile: corpi che danzano, che combattono, che si muovono, tra racconto mitologico e realtà, amore e morte, spirito e carnalità. Sono corpi tracciati con la grafite, plasmati con la terracotta, disegnati con la rete metallica, scolpiti nella pietra, sbalzati nel legno; non hanno volto, né braccia né gambe, perché per Mauro la bellezza assoluta è nel torso, dove il corpo dell’uomo è uguale da millenni, dove si perdono le tracce della storia, delle mode, dell’identità personale. Sono torsi di uomini ma soprattutto di donne: di Amazzoni, di Ninfe, di danzatrici, di sirene, di bagnanti, di Erinni… Calipso, Venere, Pentesilea, Medusa… donne immaginarie e immaginate, ma al contempo reali, fisicamente presenti.
(testo tratto da Qui, già, oltre. Brianza: terra d’artisti, Silvana editore 2009)