MIMMO IACOPINO

In un’epoca convinta di vivere con e per le immagini ma che in realtà le immagini le tradisce sistematicamente, prestando loro pochissima attenzione e declassandole alla rapidità di uno sguardo a instagram dal piccolo schermo di un cellulare, la fotografia pare chiedere a gran voce un maggior rispetto e una fruizione meno frettolosa e volubile. Mimmo Iacopino, formatosi come fotografo di still life negli ambienti dello Studio azzurro e forte di un passato nella pubblicità e di un presente nell’arte visiva, mette le proprie conoscenze al servizio di un rinnovato interesse per l’immagine: un interesse che si traduce in sperimentazione tecnica e originalità creativa.
Nascono così, con questa volontà di interazione con l’immagine fotografica, le Chimere, che già dal titolo svelano la propria identità complessa e ambigua. Chimere, ibridi dunque, strani incontri tra mondi e creature diverse che attraggono la nostra attenzione imponendoci una considerazione adeguata nel tentativo di comprendere ciò che stiamo osservando. Oggetti del nostro quotidiano si tramutano in qualcosa di diverso da sé, assumono nuovi ruoli e nuovi aspetti, destabilizzandoci. Un’azione di natura dadaista, senza dubbio: irriverente, straniante e ironica, come solo un’opera Dada sa essere. Impossibile non citare tra i possibili riferimenti artisti quali Duchamp o, ancor di più, Man Ray, e tutti gli artisti che hanno usato il fotomontaggio e la trasformazione dell’immagine fotografica con esiti che tendono alla surrealtà, che giocano con le nostre certezze sovvertendole, che si divertono con il dato reale stravolgendolo pur mantenendone la riconoscibilità.
Ma quelli di Iacopino non sono né fotomontaggi né operazioni in Photoshop. E proprio qui sta la vera originalità della ricerca di questo artista che non ha mai perso di vista la coerenza di un percorso ben calibrato e sempre molto pensato. Per le sue Chimere Iacopino prende la via della polimatericità, introducendo elementi tridimensionali, nella bidimensionalità dell’immagine fotografica. Sono materie che appartengono al suo mondo, presenti da sempre nella sua produzione artistica: rasi, velluti, fili da cucito e da ricamo. Nato nell’era della camera oscura, Iacopino ama ancora pensare alla fotografia come a qualcosa che ha a che fare con la chimica, con l’odore degli acidi, con la fisicità della carta stampata. Ecco quindi che la materia entra a gamba tesa nell’immagine, donandole valori tattili, irresistibili richiami sensoriali, quasi di ascendenza Munariana. Per le sue Chimere, Mimmo ripesca i propri scatti del passato, li riguarda con occhi nuovi, li trasforma, dandogli una nuova forma, un nuovo senso, una nuova vita. L’ironia lieve, mai aggressiva, trionfa in queste opere forti di un ostentato désengagement, surreali ma non inquietanti, che trovano la propria ragione di essere in questa risoluta volontà di opporsi alla memoria bidimensionale (come la definirebbe Ugo La Pietra) del digitale e aprire possibili orizzonti creativi per l’immagine fotografica, sottraendola all’effimera, frettolosa e inconsistente fruizione di cui oggi essa è costantemente vittima.
(Testo per mostra personale alla Galleria Melesi di Lecco, 2019)