MARIA CHIARA ZARABINI

…Ed ecco il mandorlo di Chiara. Quella presenza che la accompagna fin dalle sue prime opere, la pianta simbolo della sua esistenza e della sua storia artistica, elemento ricorrente, quasi filo conduttore, della sua ricerca. Il mandorlo è ancora qui. Come impronta di sé. Come traccia che ci guida nella complessa visione di un corpo femminile. Un corpo che si fonde nella natura, che penetra nella terra, che se ne lascia avviluppare. Un corpo femminile nudo ma non erotico. Un corpo che tende al sublime, che si offre alla natura e al suo ciclo vitale ma che non smarrisce (né vuole smarrire), pur nella frammentazione con cui è presentato, la propria concretezza, la propria fisicità, perfino la propria identità. Un’identità che si esprime e si definisce proprio nella relazione con la Terra. Non una Terra qualsiasi. È la propria Terra d’origine: le colline, i campi, i boschi che hanno accompagnato l’esistenza di Chiara Zarabini e che ora accolgono il suo corpo, in un abbraccio confortante. Non sono fiamme di distruzione quelle che ne bruciano le membra: non c’è da averne paura. Come una creatura dei boschi l’artista si accovaccia su una foglia, trova riparo dai dolori della vita in quella calda e rassicurante alcova naturale. Cum grano salis è il racconto di una rigenerazione possibile; uno sguardo sull’incantevole forza della Natura che tutto travolge, che crea e distrugge, che dona e toglie la vita; un omaggio al corpo della donna – tanto spesso ferito, frainteso, oltraggiato – come divino luogo di creazione e generazione. Un corpo che si fa anfora, contenitore di vita. Simbolo per eccellenza del ventre femminile, l’anfora – ora come oggetto rituale, ora come contenitore di beni e prodotti preziosi, ora come allegoria del corpo femminile – è presente in modo diffuso nella cultura occidentale fin dall’antichità. Oltre che all’iconografia del battesimo, l’anfora rimanda anche a quella dell’Annuncio a Maria. Nelle prime immagini che raccontano l’Annunciazione, infatti, soprattutto quelle di area bizantina, la Vergine è ritratta fuori dalla propria abitazione, colta dall’arcangelo Gabriele nell’atto di attingere con un’anfora dell’acqua da una fonte.
Non esente da implicazioni cristologiche, il lavoro di Chiara si fa portatore di quel senso di panteismo, di sacro dialogo con il Creato, che da sempre caratterizza l’opera dell’artista: una riflessione già ampiamente suggerita dal precedente Corredo per Daphne, progetto del quale Cum grano salis costituisce un approfondimento e una prosecuzione.
Se il rapporto con la Natura è elemento portante, la ricerca della Zarabini non si limita (né mai si è limitata) alla rappresentazione della Donna come Mater Matuta, come ventre fertile donatore di vita, simbolo di rigenerazione. La donna di Chiara è dea ancestrale, ma è anche individuo storico e sociale. Nella sua raffinata analisi, l’artista non trascura mai la denuncia della condizione femminile. Il suo lavoro, oltre a seguire passo dopo passo le molte difficoltà di quella corsa a ostacoli che è stata la storia dell’arte delle donne (della quale Chiara è attenta studiosa), si fa spesso portatore di riflessioni gravi, quanto necessarie, sul ruolo della donna e del suo corpo nella società. A questo proposito mi pare decisamente interessante la lettura che propone Serena Donigaglia (che al progetto ha collaborato attivamente) di quest’ultimo lavoro di Chiara. Un’interpretazione fortemente connotata che esalta però un aspetto sostanziale dell’opera: la molteplicità dei livelli di significato proposti. Nei lavori della Zarabini una lettura non esclude mai l’altra; proprio come nel lavoro di Ana Mendieta, la ritualità arcana della sua Siloueta immersa nella natura non ci esenta dal ricordare i molti casi di brutale violenza sul corpo delle donne, tema, peraltro, assai caro all’artista. La molteplicità di contenuti è uno degli aspetti certamente più affascinanti dell’opera della Zarabini, fin dai tempi in cui l’artista ricamava e cuciva, con una gestualità memore di antiche tradizioni, le sue reti di metallo. Un’indagine che svela i molti archetipi del femminile condotta con una sensibilità e una poeticità straordinarie. Una poesia e un lirismo che certo non si smarriscono, ma anzi si confermano, in questo progetto, che sottolinea, anzi, in tutta evidenza, la capacità della Zarabini di denunciare con fermezza senza mai inciampare nel tranello di un linguaggio troppo aggressivo o volgare, quanto inutile e banale: una trappola nella quale è assai facile cadere. Questo splendido equilibrio tra dolcezza e pugno di ferro, tra abbraccio e percossa, non è solo frutto dell’istinto, ma si fonda in gran parte sulla cultura dell’artista stessa, instancabile studiosa della storia e della critica d’arte ma anche attenta osservatrice della storia dell’uomo. La conoscenza, la lettura, la preparazione teorica costituiscono per Chiara un passaggio indispensabile nella costruzione di un nuovo progetto; all’idea fondante, alla visione generale del lavoro – nate da un impulso creativo istintivo e dall’esperienza personale – segue sempre, infatti, un periodo di approfondimento, di elaborazione, di messa a fuoco del tema, mediante letture selezionate e ricerche specifiche. Con grande intelligenza, l’artista si apre anche al dialogo con altri: cerca lo scambio di idee, si relazione con studiosi, con letterati, con chi, in generale, potrebbe offrirle nuovi punti di vista. Dopo questa fase di gestazione, la Zarabini si riappropria dell’opera, rielabora tutte le suggestioni raccolte, le fa proprie e le reinterpreta con un linguaggio inequivocabilmente suo, personale e riconoscibile, filtrandole attraverso il proprio vissuto, il proprio sguardo, la propria vocazione artistica. Non è un caso che spesso i suoi lavori si accompagnano alla parola: parola scritta o recitata, parola ricamata sulla rete o esposta accanto alle opere, a loro completamento. Va nella medesima direzione anche l’impiego degli scatti fotografici che la ritraggono, scatti che qualcun altro realizza per lei; un occhio esterno che osserva l’artista e contribuisce alla costruzione del progetto.
(da: Cum Grano Salis, testo in catalogo della mostra di Faenza, Palazzo delle Esposizioni, 2012)