PAOLO SCHIAVOCAMPO

Paolo Schiavocampo
… palermitano d’origine, giunto a Milano nel 1948, ha finito per trovare nella Brianza il luogo ideale dove installare il proprio studio. Frequenta questi luoghi fin da giovane, come racconta lui stesso: “Amavo queste gite nella pianura padana, per me era un archetipo, la cosa più simile all’ac-qua che conoscessi. All’inizio dell’estate il profumo dell’erba tagliata avvolge come una nebbia, il colore verde intenso e le case dorate; la pianura ha qualcosa di epico, come il mare”, così narra il suo braccio destro tuttofare, nel suo studio di Passirano, aperto solo pochi anni fa, nel 2003, dopo aver tenuto a Carnate, per qualche anno, una scuola di pittura e scultura. Schiavocampo è un uomo colto, dalla conversazione piacevole, disposto a condividere il proprio pensiero, i propri ricordi, la propria arte, con un’immediatezza e una semplicità apparente che sorprendono. Volentieri ripercorre le fasi del proprio lavoro: gli anni quaranta a Roma con il gruppo Forma 1, con Turcato, Consagra, Scarpitta; il tentativo di sentirsi a proprio agio nell’imperante ondata di neorealismo (che pure proverà a segui-re, ma senza esiti memorabili); il trasferimento a Milano in cerca di nuovi orizzonti. Le prime tappe di un cammino non semplice e mai scontato, che accompagna Schiavocampo nella ricerca della propria identità d’artista. La svolta arriva nel 1964, con un soggiorno negli Stati Uniti, insieme a Salvatore Scarpitta, con cui lavora come restauratore di vecchi modelli d’automobile per un meccanico di Brooklyn. Improvvisa e inaspettata, gli si rivela la strada giusta: la scultura. Da allora egli affronta la materia con incessante curiosità. È la materia a chiamarlo, indicandogli una nuova possibilità creativa, suggerendogli possibili incontri con la forma. Negli anni l’artista, mettendosi costantemente in gioco, senza mai per questo perdere di vista la necessaria coerenza stilistica, ha sperimentato ma-terie diverse, sempre con risultati di grande forza espressiva: ha lavorato con la pietra, il travertino, i laminati plastici, il cemento, il ferro, il bronzo, la terracotta, il poliestere (un materiale quest’ultimo che lo affascina profondamente, perché duttile e adattabile). Al centro dell’opera di Schiavocam-po c’è sempre e comunque l’uomo o, per meglio dire, la donna, la donna come bellezza, come mito, come madre, come Terra. Dalla suggestione aulica della Madre, dove vivo ed evidente è il ricordo della mater matuta etrusca, fino alle forme più astratte plasmate nel poliestere o fuse nel bronzo e ai labirinti di travertino, l’opera di Schiavocampo racconta di un universo in cui maschile e femminile si incontrano per generare la vita. Sono sculture as-solute, senza tempo, dal respiro classico nella loro eleganza e armonia, nella loro purezza geometrica, che difficilmente potremmo mettere in relazione ad altro luogo se non alla sua natia Sicilia, terra che ha saputo sopravvivere nei ricordi dell’artista, direi quasi nel suo DNA, superando la seduzione di ogni altro luogo al mondo, New York e Venezia compre-se. Il sole, le leggende, la storia, perfino l’eleganza delle rovine della Magna Grecia permeano i lavori dell’artista, donando loro un incanto speciale, so-speso, luminoso.
(testo tratto da Qui, già, oltre. Brianza: terra d’artisti, Silvana editore 2009)