
RAFFAELE BONUOMO
Raffaele Bonuomo
Foto-grafia: scrivere con la luce. La ricerca di Raffaele Bonuomo sembra rispondere al senso etimologico della parola che definisce il suo mezzo espressivo. Con la luce Bonuomo scrive, disegna, traccia segni, incide la carta, creando opere che della grafica e del disegno hanno l’intenzione e l’istinto. Fotografo di professione, Raffaele ha sempre scelto vie personali e inconsuete per impiegare il proprio strumento. Il suo primo importante ciclo di lavori, la fauna ittica in polaroid, già lascia ampiamente presagire i futuri sviluppi. La pellicola della polaroid staccata dal supporto e incollata sulla carta crea immagini che paiono dipinte ad acquerello, suggerite dalla natura ma reinterpretate con uno sguardo destrutturante che ricorda quello dei collage avanguardisti. La pittura è lì a due passi: ma la fotografia le schiaccia l’occhio e le si rivolge, si direbbe, più con un ironico sorriso che con volontà emulazione.
Interrotta forzosamente questa prima ricerca per motivi tecnici (le pellicole polaroid erano scomparse dal mercato), Bonuomo sospende per qualche anno la propria attività artistica. È un momento di riflessione, una pausa che lo porta a cercare un’altra via espressiva. La trova nel bianco e nero, interpretato subito con le modalità che diventeranno la sua, riconoscibilissima, cifra stilistica. I soggetti sono quelli del suo mondo: il monte Barro, le rocce, le falesie, prati innevati e covoni nei campi. Non serve andare chissà dove, basta osservare con attenzione il paesaggio circostante, guardarlo con occhi nuovi, sezionarlo in dettagli, percepirne le forme e le geometrie, sondarne la qualità tattile delle materie, sintetizzarne l’anima più profonda attraverso immagini che vivono di chiaroscuri accentuati, di segni che paiono tracciati con la china o con la punta di un bulino o incisi con la morsura su una lastra. Sono scorci di nulla che assumono valenze universali, di straordinaria potenza espressiva. Usando Photoshop come un tempo si sarebbe usata una camera oscura, Bonuomo opera bruciature, mascherature, forza i rapporti di luce e ombra, carica i neri, li contrappone a bianchi altrettanto accentuati, ne inverte i ruoli, realizzando immagini che vanno ben al di là del luogo che rappresentano e che pensano al paesaggio come segno, come traccia, sfiorando talvolta l’astrazione, come nel caso del ciclo della “neve nera”, nel quale il soggetto è a tratti irriconoscibile, diventando altro da sé.
Più vicino a Hans Hartung e Anselm Kiefer che ai maestri della fotografia (pur restando, senza dubbio, innanzi tutto un fotografo), Raffaele gioca con la luce, costruendo immagini dai molteplici livelli di lettura, che partono da un soggetto reale per trasformarlo in segno e in materia, dove la parola materia è intesa come la avrebbe usata Jean Dubuffet nelle sue Texturologie e Matériologie, cicli di lavori che hanno davvero molto a che condividere con la ricerca di Bonuomo. È da sottolineare, però, che i paesaggi di Bonuomo conservano sempre la loro dimensione naturale. Non sorprende, quindi, che i temi siano spesso affini a quelli di un artista che ha saputo trasformare il paesaggio in percezione: Claude Monet. Covoni, acqua, falesie, neve… leggendo i titoli delle serie di Bonuomo scopriamo una straordinaria sovrapposizione con i cicli pittorici del maestro impressionista. Pur scegliendo una modalità espressiva quasi opposta alla visione di Monet, con il quale stilisticamente ha davvero pochissimo da condividere, Bonuomo lavora come lui sul concetto di percezione soggettiva di un paesaggio, una soggettività che finisce con l’assumere valenze assolute, che trascendono il vero.
Forte di una notevole coerenza e originalità, l’opera di Bonuomo riesce sempre a sorprendere, mostrandoci le cose come non le avevamo mai considerate.
Foto-grafia: scrivere con la luce. La ricerca di Raffaele Bonuomo sembra rispondere al senso etimologico della parola che definisce il suo mezzo espressivo. Con la luce Bonuomo scrive, disegna, traccia segni, incide la carta, creando opere che della grafica e del disegno hanno l’intenzione e l’istinto. Fotografo di professione, Raffaele ha sempre scelto vie personali e inconsuete per impiegare il proprio strumento. Il suo primo importante ciclo di lavori, la fauna ittica in polaroid, già lascia ampiamente presagire i futuri sviluppi. La pellicola della polaroid staccata dal supporto e incollata sulla carta crea immagini che paiono dipinte ad acquerello, suggerite dalla natura ma reinterpretate con uno sguardo destrutturante che ricorda quello dei collage avanguardisti. La pittura è lì a due passi: ma la fotografia le schiaccia l’occhio e le si rivolge, si direbbe, più con un ironico sorriso che con volontà emulazione.
Interrotta forzosamente questa prima ricerca per motivi tecnici (le pellicole polaroid erano scomparse dal mercato), Bonuomo sospende per qualche anno la propria attività artistica. È un momento di riflessione, una pausa che lo porta a cercare un’altra via espressiva. La trova nel bianco e nero, interpretato subito con le modalità che diventeranno la sua, riconoscibilissima, cifra stilistica. I soggetti sono quelli del suo mondo: il monte Barro, le rocce, le falesie, prati innevati e covoni nei campi. Non serve andare chissà dove, basta osservare con attenzione il paesaggio circostante, guardarlo con occhi nuovi, sezionarlo in dettagli, percepirne le forme e le geometrie, sondarne la qualità tattile delle materie, sintetizzarne l’anima più profonda attraverso immagini che vivono di chiaroscuri accentuati, di segni che paiono tracciati con la china o con la punta di un bulino o incisi con la morsura su una lastra. Sono scorci di nulla che assumono valenze universali, di straordinaria potenza espressiva. Usando Photoshop come un tempo si sarebbe usata una camera oscura, Bonuomo opera bruciature, mascherature, forza i rapporti di luce e ombra, carica i neri, li contrappone a bianchi altrettanto accentuati, ne inverte i ruoli, realizzando immagini che vanno ben al di là del luogo che rappresentano e che pensano al paesaggio come segno, come traccia, sfiorando talvolta l’astrazione, come nel caso del ciclo della “neve nera”, nel quale il soggetto è a tratti irriconoscibile, diventando altro da sé.
Più vicino a Hans Hartung e Anselm Kiefer che ai maestri della fotografia (pur restando, senza dubbio, innanzi tutto un fotografo), Raffaele gioca con la luce, costruendo immagini dai molteplici livelli di lettura, che partono da un soggetto reale per trasformarlo in segno e in materia, dove la parola materia è intesa come la avrebbe usata Jean Dubuffet nelle sue Texturologie e Matériologie, cicli di lavori che hanno davvero molto a che condividere con la ricerca di Bonuomo. È da sottolineare, però, che i paesaggi di Bonuomo conservano sempre la loro dimensione naturale. Non sorprende, quindi, che i temi siano spesso affini a quelli di un artista che ha saputo trasformare il paesaggio in percezione: Claude Monet. Covoni, acqua, falesie, neve… leggendo i titoli delle serie di Bonuomo scopriamo una straordinaria sovrapposizione con i cicli pittorici del maestro impressionista. Pur scegliendo una modalità espressiva quasi opposta alla visione di Monet, con il quale stilisticamente ha davvero pochissimo da condividere, Bonuomo lavora come lui sul concetto di percezione soggettiva di un paesaggio, una soggettività che finisce con l’assumere valenze assolute, che trascendono il vero.
Forte di una notevole coerenza e originalità, l’opera di Bonuomo riesce sempre a sorprendere, mostrandoci le cose come non le avevamo mai considerate.
(da Disegnando con la luce, mostra Seriate, 2019)