VITTORIO COMI

Vittorio Comi Non mi avvicino, né mai mi sono avvicinata, all?opera di Vittorio Comi perché attratta dalla sua indubitabile originalità e dalla sua mai deludente capacità di stupire, ma perché ritengo che nei suoi lavori ci siano dei contenuti, una forte personalità, una volontà di comunicazione e perfino un certo interessante senso estetico, fattori che li sottraggono dalla categoria della ?trovata geniale? per metterli di buon diritto in quella delle ?opere d?arte?. Conobbi Vittorio qualche anno fa, all?epoca delle sue opere di erba. Me lo presentò un amico comune, ottimo sculto-re, Andrea Cereda. Restai profondamente affascinata dal suo concetto di opera vivente, organismo vitale da accudire. Un concetto che mescolava diversi aspetti, gettando sul piatto tematiche importanti: la transitorietà dell?oggetto artistico, il valore dell?idea, il ruolo del fruitore, perfino la relazione con i generi artistici classici, dal paesaggio alla natura morta. E poi c?era il tema della tecnica. Mi stupì la manualità di Comi, la sua capacità di concretizzare l?idea con tecniche sofisticate, acquisi-te da anni di esperienza nel mondo degli effetti speciali per il cinema e la pubblicità: l?ambito in cui egli aveva lavorato fino ad allora e saltuariamente ancora lavorava, anche se con sempre maggior stanchezza e disincanto. Le mani. Comi non aveva solo ottime idee ma aveva anche le mani: quelle idee, insomma, sapeva realizzarle, con un?invidiabile conoscenza degli strumenti, dei materiali e dei processi creativi. Nei suoi lavori di questo periodo natura e tecnologia dialogano in modo straordinario. Si pensi, ad esempio, a Who wants to live forever? ? opera a cui, per varie ragioni, sono particolarmente legata ? che prevede una coppia di cornici identiche: in una è contenuto un riquadro di erba vera e viva, nell?altra dell?erba ricreata in 3D e visibile solo con occhialini passivi. ?Nell?opera in 3D l?erba virtuale nasce, cresce e muore in continuazione, in un loop infinito animato dal volo di farfalle colorate che contribuisce a dare profondità alle immagini; l?opera con erba vera trasmette invece sensazioni silenziose ma reali?, scrive Comi, che annota poi: ?Durante un?esposizione ho trovato molto interessante osservare che i visitatori erano prevalentemente attratti dal 3D, più vistoso, più trendy ma inafferrabile??. In effetti la reazione del pubblico era proprio quella: la gente accorreva a indossare gli occhialini per meravigliarsi per le farfalle virtuali e degnava di ben pochi sguardi il vero manto erboso ? odo- roso e tangibile ? che gli stava accanto. Il significato dell?opera dunque trascendeva ampiamente il fattore della trovata tecnologica per lanciare forte e chiaro una doman-da al contempo attuale ed eterna: da che parti stai? Vuoi vivere, affrontare la vita (e la morte) o fingere di vive-re, ovvero non morire mai, rinascere ogni trenta secondi sempre uguale a te stesso ripetendo sistematicamente gli stessi gesti? In questa Vanitas del contemporaneo, in que-sto lavoro così curioso e attraente eppure così classico e profondo, a mio avviso c?è tutto il senso della ricerca di Vittorio Comi. La tecnologia, l?impiego di materia-li e strumenti innovativi, la forma originale scelta per esprimersi hanno sempre alla base, come motivo generatore e finalità ultima, un messaggio forte. Un?idea su cui ragionare. Uno spunto di riflessione importante, che affonda le radici nel sapere universale, nei grandi temi della filosofia e della scienza, nelle questioni di stringente attualità. Le opere di Comi si muovono tra indagine sulla condizione esistenziale e denuncia sociale, tra impegno ambientalista e sensibilità per i grandi problemi del no-stro pianeta e della nostra civiltà, tra ragione e dubbio. Stanno lì sospese tra museo e Wunderkammer, tra labora-torio e tendone da circo, tra scienza e magia. E nel loro schiacciare l?occhio allo spettatore, sornioni e irrive-renti, lanciano strali e impongono riflessioni, chiedono attenzione e alzano la voce, aprendo questioni importanti, che ci riguardano tutti. (?) E poi c?è l?immaginazione. Quella incantata e libera di un bambino. Quella per cui una scatola diventa un?astronave. C?è il gioco. Comi gioca con la storia dell?arte, gioca con il tempo, gioca con Madre Natura e gioca anche con l?Uomo e con il suo senso del divino. Non si prende gioco di loro ma gioca con loro. Trascinando tutti nella sua formidabile capacità inventiva. Il gioco del ?faccia-mo che eravamo?, da sempre tanto caro ai bambini, in Comi diventa scintilla per il processo creativo. E quando la scintilla si accende, a Vittorio si illuminano gli occhi. Il suo ?ho pensato? apre sempre mondi diversi: orologi che vanno all?indietro, autoscontri per dipingere un?opera a soffitto (e il proprio cielo), vestiti in tessuto di capelli, mammut che ballano il tango con marmotte, alberghi per volatili stanchi? Mondi. Mondi mai fini a se stessi ma sempre con un messaggio da ascoltare, un concetto da elaborare, un?idea su cui riflettere. L?arte al servizio della società. L?arte che, attraverso la sua capacità di guardare le cose da un punto di vista diverso, può diventare anche strumento di soluzione di problemi di varia origine, anche in ambiti molto diversi. Comi, del resto, è profondamente convinto del ruolo innan-zi tutto sociale dell?artista: chiamato non (o almeno non solo) a decorare le case dei collezionisti o a occupare i muri dei musei, ma a offrire risposte, proporre alterna-tive, ricordare e puntualizzare situazioni, generare dibattiti che possono portare a soluzioni, coinvolgendo il fruitore (che non è mai considerato semplice spettatore, ma parte integrante del lavoro) in prima persona. (dalla prefazione di Mi sgrommo le pulegge e stracarico lo giallumi, 2018)