Paolo

Paolo
libro
anno: 2018

Racconto fotografico di Giacomo Nuzzo
inserito in: La bellezza resta

ideazione, curatela, realizzazione, pubblicazione volume

testi di:
Simona Bartolena
Armando Fettolini
Giacomo Nuzzo


Tra i molti talenti di Giacomo Nuzzo come fotografo, c’è senza dubbio la capacità di raccontare storie. Le foto di Nuzzo sono sempre narrative. Con la sua straordinaria abilità nel cogliere istanti, nel rubare momenti di vita che gli occhi distratti degli altri si sarebbero lasciati sfuggire, Giacomo impiega l’obiettivo della sua inseparabile macchina fotografica come uno scrittore usa un taccuino per gli appunti su cui raccogliere pensieri volanti da catturare subito, prima che passino.
Non c’è foto di Nuzzo che non porti in sé una possibilità narrativa, una traccia da seguire per costruire una storia, qualsiasi ne siano i protagonisti: frettolosi passanti, donne indiane nei costumi tradizionali, turisti a zonzo per la città, degenti di un ospedale o distese di alberi nella nebbia.
Quando questo talento viene messo al servizio di un racconto già di per sé meritevole di essere narrato, i risultati non possono che essere importanti. È il caso di questa vicenda umana, la storia di Paolo, che da ragazzo ha perduto le braccia e un occhio per uno stupido incidente. Fiumi di parole non potrebbero dipingere meglio di quanto non facciano le foto di Nuzzo la personalità complessa e contradditoria di quest’uomo che ha sfidato il destino, ha affrontato le avversità che una sorte gli ha riservato senza sconti e da questo scontro è uscito vincitore.
Ci vuole grande sensibilità e saggezza per riuscire a entrare nei meandri di un carattere forgiato dalla vita, capace di estreme durezze e rigidità e di inaspettate dolcezze. Solo un linguaggio ricco di modulazioni e sfumature, come quello delle fotografie di Nuzzo, può ritrarne tanto gli spigoli quanto le curve, tanto i sorrisi quanto gli sguardi di rabbia. Basterebbe osservare bene le espressioni di Paolo nelle immagini che Giacomo gli ha dedicato: da una parte la durezza spavalda di chi ha dovuto ricostruire se stesso da una nuova prospettiva – e lo ha fatto senza concedersi il lusso dell’esitazione o dell’autocommiserazione – dall’altra la struggente dolcezza dei momenti passati con il nipotino. Il segreto di Paolo forse sta tutto in quella manina che delicatamente, ma senza alcuna paura, stringe il suo artiglio, come fosse la cosa più naturale del mondo. Il nipotino sa bene che per lui e per il nonno quella, infatti, non è la cosa più naturale del mondo.
La diversità è tale solo quando ci insegnano che lo sia. E un incontro con Paolo, anche un incontro di pochi minuti, regala innanzi tutto questa importante riflessione: quello di diversità, inteso come differenza che pesa socialmente, emarginando l’individuo, è uno dei concetti meno sensati che l’umanità abbia saputo creare. Tutti siamo diversi (per fortuna) e ciascuno è se stesso nella sua diversità. Anche quando l’apparenza, letta secondo i canoni sociali che ci hanno inculcato, suggerirebbe il contrario. Dopo cinque minuti passati con Paolo la vita si mostra in tutta la sua bellezza, una bellezza capace di superare ogni barriera.
L’uomo è una creatura adattabile, capace di rigenerarsi e trovare nuove risorse, anche quando privato – e i motivi che hanno generato questa situazione contano poco – di elementi fondamentali per la dinamica del nostro esistere quotidiano quali gli arti superiori. Bisogna avere carattere, certo. Bisogna conoscere il significato di parole quali caparbietà, forza di volontà, orgoglio (termine che definisce un’attitudine pericolosa e ambivalente, qui intesa nel suo senso più nobile) e uno straordinario senso della dignità personale, seguendo il quale Paolo ha imparato a gestire se stesso con un’impressionante grado di indipendenza.
Tempo fa ho avuto occasione per motivi professionali di entrare in contatto con alcuni artisti che dipingono con la bocca o con i piedi perché sprovvisti di arti o paralizzati. Al di là delle singole esperienze creative, è impressionante osservare come la condizione fisica non abbia loro impedito di esprimersi artisticamente (anzi, spesso è stata proprio la situazione a risvegliare un talento che prima era messo da parte per privilegiare le impellenze quotidiane): un approccio alla disabilità che diventa ancor più ammirevole se, come nel caso di Paolo, la menomazione non è congenita ma acquisita a seguito di un incidente o di una malattia.
Paolo ostenta durezza nei giudizi e scarsa simpatia per il mondo attuale. Paolo si rifugia dietro a barricate di accuse e ostilità, ma son barriere che è assai facile superare, per scoprirvi nascosta tutta la sua umanità, forgiata nelle difficoltà e nell’orgoglio (questa volta inteso nella gamma completa di sfumature del termine) di avercela fatta. Di aver vissuto e vissuto davvero. Forse più intensamente e consapevolmente di molte persone alle quali il destino ha lasciato entrambe le braccia.
Seguendo il filo dello scorrere del quotidiano, con una sequenza di immagini in bilico tra reportage e ritratto, Nuzzo ha raccontato la giornata di Paolo. Lo ha seguito, indagandone gli atteggiamenti, la sua maniera di affrontare alcune difficoltà oggettive e gli affetti. Lo ha osservato vestirsi, indossare le mani artificiali, andare a passeggio, portare a spasso il nipotino, dialogare con il fratello… Lo ha ascoltato raccontare la sua vita: una, cento, mille volte… talvolta con nuovi particolari, aprendo finestre su ricordi sempre più personali, con semplicità, senza vergogna o timore, come se parlasse di qualcun altro. Lo ha guardato dal suo obiettivo, ma non l’hai mai spiato: ha sempre reso la macchina fotografica una presenza complice, amichevole. E Paolo è stato al gioco. Nelle foto, oltre alla vita di Paolo, si coglie, sullo sfondo, l’animo sensibile di Giacomo Nuzzo, in un dialogo a due che fa di questo racconto una storia scritta a quattro mani, nella quale si intrecciano due vicende: quella di Paolo, l’uomo che ha reagito al destino, e quella di Giacomo, l’uomo che sa leggere l’anima della gente e ritrarla con un clic.

Simona Bartolena