
DE CÉZANNE A PICASSO, DE KANDINSKY A MIRÓ128 obras maestras de la gráfica del siglo XX
DE CÉZANNE A PICASSO,
DE KANDINSKY A MIRÓ
128 obras maestras de la gráfica del siglo XX
Museo del Grabado, Marbella, Spagna
dal 30 maggio al 2 novembre 2025
Peintres-graveurs
Peintre-graveur è una definizione resa celebre da Ambroise Vollard, ma già in uso nei decenni precedenti, che ben identifica gli artisti del XX secolo che hanno prodotto stampe di invenzione e non di riproduzione. I peintres-graveures sono artisti che usano le tecniche di stampa con la stessa mentalità e la medesima intenzione con cui usano il pennello, la tavolozza, i colori a olio. Un’opera a stampa non è un prodotto di serie, è un’opera originale e come tale è stata ideata, creata, disegnata di proprio pugno dall’artista, che l’ha pensata come espressione del proprio sentire, parte della propria creazione artistica.
La produzione a stampa non costituisce per l’artista una parentesi chiusa nella sua ricerca, al contrario ne rappresenta spesso un aspetto importante, talvolta fondamentale.
Spesso a portare gli artisti verso la grafica è una sorta di “bisogno” di andare oltre la pittura. Per artisti come Picasso, Rouault, Miró, Morandi, il gruppo degli artisti di Die Brücke e molti altri, la realizzazione di opere a stampa costituisce un momento fondamentale di sperimentazione creativa.
Le tecniche calcografiche e la litografia nella Francia dell’Ottocento
L’interesse per le tecniche calcografiche e per la litografia non è un fatto solo novecentesco. Già nella seconda metà dell’Ottocento numerosi artisti si cimentavano volentieri nella grafica. Anche gli impressionisti, la cui grammatica basata sul colore e sul tocco libero parrebbe inconciliabile con il segno inciso, amarono la stampa d’artista e seguirono l’esempio di quei maestri – da Delacroix a Daumier, a Manet – che se ne erano occupati prima di loro. La mostra si apre proprio con una splendida litografia del maestro di Olympia ispirata ai drammatici fatti della Comune di Parigi. La passione di Manet per le tecniche a stampa è nota: egli era anche parte della Société des Aquafortistes, fondata nel 1862 da Alfred Cadart. La Société operava per un’affermazione e un costante aggiornamento della tecnica dell’acquaforte, interpretata come una forma artistica attuale e al passo con i tempi, anche in opposizione all’incalzante successo della fotografia. Le acqueforti prodotte dalla Société non erano mere riproduzioni meccaniche ma vere e proprie opere d’arte, uniche e portatrici di soluzione creative innovative e sperimentali. La galleria aveva un orientamento libero: non sceglieva gli artisti perché appartenenti a una specifica tendenza ma semplicemente perché interessati seriamente alla tecnica calcografica.
La stampa d’arte dopo l’Impressionismo
L’importanza della litografia nella ricerca di Toulouse-Lautrec è un fatto notissimo: nella sua produzione essa occupa un ruolo paritario, se non addirittura superiore, alla pittura.
Lautrec, tra l’altro, collabora attivamente con “La Revue Blanche”, la rivista culturale edita dai fratelli Natanson e diretta da Félix Fénéon, luogo privilegiato di elaborazione dei nuovi linguaggi grafici proposti da artisti d’avanguardia. Gravitano nei medesimi ambienti, ad esempio, gli esponenti della confraternita dei Nabis, i seguaci di Paul Gauguin sostenitori del Sintetismo e di un’estetica profondamente debitrice dell’arte proveniente dal Giappone. Nelle opere di Vuillard e di Bonnard esposte in mostra si colgono a pieno le novità da loro introdotte nel campo della stampa d’artista.
Notevole è anche il ruolo della grafica nella temperie simbolista. Odilon Redon, ad esempio, partirà proprio dal disegno e dalle incisioni, molte delle quali ritoccherà poi a colori o riprenderà in opere dipinte negli anni Novanta, come nel caso del celeberrimo Les yeux clos, probabilmente un ritratto della moglie, la cui versione su tela è conservata al Musée d’Orsay. Appartengono al medesimo clima di fine secolo Max Klinger, l’olandese Jan Toorop, il belga James Ensor e l’italiano Luigi Russolo, che prima del suo ingresso nel movimento futurista frequentò volentieri le tematiche simboliste, delle quali peraltro si troverà traccia anche nella sua produzione degli anni successivi.
Rappresentano il passaggio al nuovo secolo anche un foglio del pointilliste Paul Signac, un’incisione di Suzanne Valadon e un capolavoro del grande padre delle Avanguardie: Paul Cézanne. Altrettanto significativa per l’avvento delle Avanguardie è la ricerca di un outsider straordinario, il geniale Henri Rousseau detto il Doganiere: esposta nel percorso è l’unica, rarissima, stampa da lui realizzata.
Die Brücke e l’incisione
Con poche eccezioni, i movimenti d’Avanguardia di inizio secolo mostrano un forte interesse per le tecniche a stampa, soprattutto per le opportunità di sperimentazione che esse offrono agli artisti.
Per gli artisti di Die Brücke, il gruppo riunitosi a Dresda nel 1905 intorno alle figure di Kirchner, Heckel e Schmidt-Rottluff, le tecniche a stampa – in particolare la silografia – sono il territorio ideale in cui mettere a punto il loro linguaggio. La produzione a stampa di questi artisti è spesso più rivoluzionaria e radicale di quella pittorica o scultorea.
Il gruppo di Dresda produceva annualmente cartelle di stampe, pensate anche come strumento di divulgazione e comunicazione della loro ricerca artistica.
Ma il processo di incisione e stampa si carica per loro anche di significati rituali: un rito che riconduce a pieno alle atmosfere primitive e selvagge che gli artisti di Die Brücke inseguono anche in pittura. Nella predilezione per la silografia, tecnica che da tempo era caduta in disuso, si percepisce anche la volontà di recupero dell’antica tradizione tedesca che ha come grande padre Albrecht Dürer.
La grafica cubista
Poco noto e interessantissimo è il rapporto del Cubismo con la stampa d’arte. Sebbene sia stata una pratica meno importante che per altri movimenti, quali ad esempio il già citato Espressionismo, la grafica ha comunque avuto un significato per i cubisti, che hanno incoraggiato anche una certa sperimentazione nel versante tecnico. Le tecniche a stampa permettono all’artista la possibilità di concentrarsi sull’essenziale, sulla struttura compositiva, sugli effetti delle superfici. La linearità del segno inciso offre uno strumento ideale per esaminare le strutture compositive. Nell’incisione si esalta anche la neutralizzazione del colore, un elemento tipico del Cubismo. La grafica cubista può essere letta, dunque, come un ripensamento della ricerca cubista, un punto di vista differente sui concetti espressi dalla ricerca pittorica e scultorea degli artisti del movimento.
La produzione grafica degli artisti del movimento si può suddividere in due momenti: i primi lavori datati dal 1907 fino al 1914, riflettono la voglia di sperimentazione e di energia degli anni della prima elaborazione della grammatica cubista; quelli realizzati tra la Prima Guerra Mondiale e la metà degli anni Trenta, invece, sono figli di processi creativi più meditati e sofisticati. Talvolta, in questo momento più tardo, vengono anche realizzate copie delle grafiche del primo periodo. Le stampe realizzate tra il 1907 e il 1914 sono oggi rarissime da trovare.
Intorno al 1920 il Cubismo raccoglie un buon successo commerciale. Anche le opere grafiche, di conseguenza, diventano appetibili sul mercato. Anche artisti che non avevano prodotto stampe cubiste in passato, si dedicano alla litografia, che riesce a riprodurre i linguaggi dei loro dipinti senza grossi problemi. Alla notorietà contribuisce anche la scena americana, con la galleria di Stieglitz e l’Armory Show nel 1913. Tra i fautori più importanti della continuità di diffusione della grafica cubista ci furono personaggi come Aimé Maeght, ma il vero mentore fu Daniel-Henry Kahnweiler.
Le tecniche di stampa al Bauhaus
Ampiamente rappresentata è anche la produzione a stampa uscita dagli ambienti del Bauhaus, dove le tecniche a stampa trovano presto una declinazione particolarmente produttiva nella grafica pubblicitaria e nella tipografia. Dapprima, sotto l’egida di Lyonel Feininger (il cui peso straordinario nella scena artistica del tempo è tutto sommato ancora da rivalutare), i laboratori furono impostati sulla ricerca artistica attraverso la stampa manuale con il torchio. Saranno poi l’altrettanto geniale László Moholy-Nagy (che introdusse altre tecniche d’avanguardia, come quella del fotomontaggio) e Herbert Bayer (che spinse nella direzione della ricerca in campo pubblicitario, inventando di fatto il graphic-design come lo intendiamo oggi) a connotare la produzione a stampa della scuola. Tralasciando questo aspetto tipografico, che si allontanerebbe dal focus della mostra, nel nostro percorso espositivo abbiamo voluto testimoniare l’attività in questo campo della scuola di Gropius con i lavori in incisione e in litografia di alcuni dei suoi più talentuosi professori: i già citati Moholy-Nagy e Feininger, ma anche Kandinskij, Paul Klee (con quello straordinario capolavoro che è Il funambolo) e Oskar Schlemmer (con una delle sue inconfondibili figure). Ma dal Bauhaus arrivano anche alcuni fogli di artisti meno direttamente coinvolti nella scuola, le cui stampe furono però inserite in cartelle a stampa ivi realizzate; è il caso, ad esempio, delle lito di Michail Larionov, di Natal’ja Gontcharova, di Alexsej von Jawlenksy e di Alexander Archipenko.
La stampa d’arte tra Ritorno all’Ordine e Surrealismo
Se il mondo dell’astrattismo è rappresentato in mostra nelle sue diverse linee di sviluppo (dalle precocissime incursioni nell’astrazione di Frantisek Kupka, alle forme sinuose già in clima surrealista di Arp, dalle composizioni geometriche di Veronesi a quelle meccaniche di Berlewi), anche la figurazione è presente con le sue infinite variabili: dalla Metafisica (con il suo padre fondatore Giorgio de Chirico, in mostra con tre stampe), al Ritorno all’ordine nelle sue più differenti declinazioni, fino alla scena europea del secondo dopoguerra.
Oltre agli esempi di Picasso e Matisse, possiamo citare la rabbiosa espressività di Grosz e Dix, il mondo onirico e unico di Marc Chagall, la tensione drammatica di Rouault (la cui sequenza di stampa oltre a rappresentare splendidamente la ricerca dell’artista costituisce anche un’interessante prova del processo delle varie fasi di realizzazione di un’incisione a colori), il recupero della tradizione Carrà, Morandi, Campigli, Marini, Casorati, Viviani, Bartolini, ma anche ricerche trasversali, più difficili da inquadrare, quali quelle di Le Corbusier o di Sutherland, Giacometti e Henry Moore. I linguaggi di questi ultimi tre artisti ci spingono verso linguaggi di ascendenza surrealista. In mostra non manca traccia dell’universo Dada e del movimento fondato da Breton. Oltre ad alcuni artisti già citati, quali ad esempio Hans Arp, raccontano questo versante una versione incisa del Grande vetro di Marcel Duchamp e alcuni capolavori di Miró, Tanguy, Ernst, Masson, Matta e Lam.
Le libere sperimentazioni dell’Informale
Con il secondo dopoguerra si approda alla stagione dell’Informale, quando le tecniche a stampa ritrovano il ruolo di territorio di sperimentazione che già avevano loro attribuito i movimenti d’avanguardia di inizio secolo.
Sono numerosi, per questa generazione, i casi in cui il lavoro a stampa ha portato gli artisti a mettere a fuoco questioni fondamentali nella definizione del loro stile: si pensi, ad esempio ad Hans Hartung che “grattando” il rame e lo zinco è arrivato a immaginare l’azione dell’incidere con vari strumenti la pasta fresca dei colori, divenuta poi il tratto distintivo della sua opera pittorica. Jean Dubuffet ha sempre ritenuto la sperimentazione nelle tecniche a stampa fondamentale per la propria ricerca. Anche altri artisti, ad esempio Emilio Vedova, esprimono in più occasioni il proprio amore per i processi di stampa. Bill Hayter organizza la propria vita artistica intorno al suo laboratorio: un luogo mitico, passato alla storia per aver accolto i più grandi artisti del Novecento ma anche decine di studenti e giovani emergenti. Hayter, tra l’altro, era convinto che “chi sta solo non arriva a nulla, perché non gli succede nulla” e il suo mettersi a servizio di altri per indagare con loro le infinite possibilità espressive delle tecniche di stampa (inventando procedimenti innovativi e approfondendo quelli già esistenti) è stato il motivo centrale della sua personalità artistica.
Nell’ambito dell’Informale al rapporto di fiducia che di consueto l’artista deve avere con il proprio stampatore si aggiunge la necessità di riprodurre anche in questo campo la qualità della materia e del segno che contraddistingue la produzione pittorica. Le combustioni di Burri, i buchi di Fontana, le superfici incise di Tàpies, il segno di Afro o il gesto cromatico dei CoBrA devono essere traslati nella bidimensionalità del foglio stampato. Straordinario è dunque l’apporto della sperimentazione tecnica condotta accanto agli stampatori, chiamati a ottenere risultati sempre più spericolati e innovativi.
Il ruolo dello stampatore
Il processo grafico si compie in laboratorio e, con poche eccezioni, necessita di una collaborazione: quella tra artista e stampatore. La loro relazione non è gerarchica e supera di gran lunga i confini tracciati tra ideatore ed esecutore. I due conducono una ricerca comune: se lo stampatore deve risolvere le questioni tecniche necessarie a rendere quanto l’artista ha in testa, quest’ultimo deve lasciarsi guidare dalla perizia e dal mestiere dello stampatore che può certamente offrirgli spunti di riflessione del tutto imprevisti.
I racconti lasciati dai grandi stampatori del Novecento, da Fernand Mourlot a Valter Rossi, sono illuminanti nella comprensione degli artisti. Anche i più noti e celebri – come Picasso – appaiono dai loro ricordi sotto una nuova luce. Talvolta, del resto, il rapporto tra stampatore e artista va ben oltre quello professionale: è noto come Picasso in vacanza preferisse portarsi Mourlot che i suoi mercanti o altri artisti. La scelta del laboratorio dove stampare le proprie lastre è fondamentale: solo con uno stampatore che capisca a fondo le esigenze dell’artista si ottiene il risultato immaginato e sperato.
Coloro che preferiscono stamparsi da soli i propri fogli, nella tranquillità del proprio atelier, costituiscono un’eccezione piuttosto rara, a fronte della grande maggioranza di artisti che amano affidarsi a un laboratorio specializzato, stabilendo con lo stampatore un rapporto di fiducia, collaborazione, scambio di idee, contaminazione, in un dialogo che spesso finisce per influenzare anche la produzione dell’artista in ambito pittorico.
DE KANDINSKY A MIRÓ
128 obras maestras de la gráfica del siglo XX
Museo del Grabado, Marbella, Spagna
dal 30 maggio al 2 novembre 2025
Peintres-graveurs
Peintre-graveur è una definizione resa celebre da Ambroise Vollard, ma già in uso nei decenni precedenti, che ben identifica gli artisti del XX secolo che hanno prodotto stampe di invenzione e non di riproduzione. I peintres-graveures sono artisti che usano le tecniche di stampa con la stessa mentalità e la medesima intenzione con cui usano il pennello, la tavolozza, i colori a olio. Un’opera a stampa non è un prodotto di serie, è un’opera originale e come tale è stata ideata, creata, disegnata di proprio pugno dall’artista, che l’ha pensata come espressione del proprio sentire, parte della propria creazione artistica.
La produzione a stampa non costituisce per l’artista una parentesi chiusa nella sua ricerca, al contrario ne rappresenta spesso un aspetto importante, talvolta fondamentale.
Spesso a portare gli artisti verso la grafica è una sorta di “bisogno” di andare oltre la pittura. Per artisti come Picasso, Rouault, Miró, Morandi, il gruppo degli artisti di Die Brücke e molti altri, la realizzazione di opere a stampa costituisce un momento fondamentale di sperimentazione creativa.
Le tecniche calcografiche e la litografia nella Francia dell’Ottocento
L’interesse per le tecniche calcografiche e per la litografia non è un fatto solo novecentesco. Già nella seconda metà dell’Ottocento numerosi artisti si cimentavano volentieri nella grafica. Anche gli impressionisti, la cui grammatica basata sul colore e sul tocco libero parrebbe inconciliabile con il segno inciso, amarono la stampa d’artista e seguirono l’esempio di quei maestri – da Delacroix a Daumier, a Manet – che se ne erano occupati prima di loro. La mostra si apre proprio con una splendida litografia del maestro di Olympia ispirata ai drammatici fatti della Comune di Parigi. La passione di Manet per le tecniche a stampa è nota: egli era anche parte della Société des Aquafortistes, fondata nel 1862 da Alfred Cadart. La Société operava per un’affermazione e un costante aggiornamento della tecnica dell’acquaforte, interpretata come una forma artistica attuale e al passo con i tempi, anche in opposizione all’incalzante successo della fotografia. Le acqueforti prodotte dalla Société non erano mere riproduzioni meccaniche ma vere e proprie opere d’arte, uniche e portatrici di soluzione creative innovative e sperimentali. La galleria aveva un orientamento libero: non sceglieva gli artisti perché appartenenti a una specifica tendenza ma semplicemente perché interessati seriamente alla tecnica calcografica.
La stampa d’arte dopo l’Impressionismo
L’importanza della litografia nella ricerca di Toulouse-Lautrec è un fatto notissimo: nella sua produzione essa occupa un ruolo paritario, se non addirittura superiore, alla pittura.
Lautrec, tra l’altro, collabora attivamente con “La Revue Blanche”, la rivista culturale edita dai fratelli Natanson e diretta da Félix Fénéon, luogo privilegiato di elaborazione dei nuovi linguaggi grafici proposti da artisti d’avanguardia. Gravitano nei medesimi ambienti, ad esempio, gli esponenti della confraternita dei Nabis, i seguaci di Paul Gauguin sostenitori del Sintetismo e di un’estetica profondamente debitrice dell’arte proveniente dal Giappone. Nelle opere di Vuillard e di Bonnard esposte in mostra si colgono a pieno le novità da loro introdotte nel campo della stampa d’artista.
Notevole è anche il ruolo della grafica nella temperie simbolista. Odilon Redon, ad esempio, partirà proprio dal disegno e dalle incisioni, molte delle quali ritoccherà poi a colori o riprenderà in opere dipinte negli anni Novanta, come nel caso del celeberrimo Les yeux clos, probabilmente un ritratto della moglie, la cui versione su tela è conservata al Musée d’Orsay. Appartengono al medesimo clima di fine secolo Max Klinger, l’olandese Jan Toorop, il belga James Ensor e l’italiano Luigi Russolo, che prima del suo ingresso nel movimento futurista frequentò volentieri le tematiche simboliste, delle quali peraltro si troverà traccia anche nella sua produzione degli anni successivi.
Rappresentano il passaggio al nuovo secolo anche un foglio del pointilliste Paul Signac, un’incisione di Suzanne Valadon e un capolavoro del grande padre delle Avanguardie: Paul Cézanne. Altrettanto significativa per l’avvento delle Avanguardie è la ricerca di un outsider straordinario, il geniale Henri Rousseau detto il Doganiere: esposta nel percorso è l’unica, rarissima, stampa da lui realizzata.
Die Brücke e l’incisione
Con poche eccezioni, i movimenti d’Avanguardia di inizio secolo mostrano un forte interesse per le tecniche a stampa, soprattutto per le opportunità di sperimentazione che esse offrono agli artisti.
Per gli artisti di Die Brücke, il gruppo riunitosi a Dresda nel 1905 intorno alle figure di Kirchner, Heckel e Schmidt-Rottluff, le tecniche a stampa – in particolare la silografia – sono il territorio ideale in cui mettere a punto il loro linguaggio. La produzione a stampa di questi artisti è spesso più rivoluzionaria e radicale di quella pittorica o scultorea.
Il gruppo di Dresda produceva annualmente cartelle di stampe, pensate anche come strumento di divulgazione e comunicazione della loro ricerca artistica.
Ma il processo di incisione e stampa si carica per loro anche di significati rituali: un rito che riconduce a pieno alle atmosfere primitive e selvagge che gli artisti di Die Brücke inseguono anche in pittura. Nella predilezione per la silografia, tecnica che da tempo era caduta in disuso, si percepisce anche la volontà di recupero dell’antica tradizione tedesca che ha come grande padre Albrecht Dürer.
La grafica cubista
Poco noto e interessantissimo è il rapporto del Cubismo con la stampa d’arte. Sebbene sia stata una pratica meno importante che per altri movimenti, quali ad esempio il già citato Espressionismo, la grafica ha comunque avuto un significato per i cubisti, che hanno incoraggiato anche una certa sperimentazione nel versante tecnico. Le tecniche a stampa permettono all’artista la possibilità di concentrarsi sull’essenziale, sulla struttura compositiva, sugli effetti delle superfici. La linearità del segno inciso offre uno strumento ideale per esaminare le strutture compositive. Nell’incisione si esalta anche la neutralizzazione del colore, un elemento tipico del Cubismo. La grafica cubista può essere letta, dunque, come un ripensamento della ricerca cubista, un punto di vista differente sui concetti espressi dalla ricerca pittorica e scultorea degli artisti del movimento.
La produzione grafica degli artisti del movimento si può suddividere in due momenti: i primi lavori datati dal 1907 fino al 1914, riflettono la voglia di sperimentazione e di energia degli anni della prima elaborazione della grammatica cubista; quelli realizzati tra la Prima Guerra Mondiale e la metà degli anni Trenta, invece, sono figli di processi creativi più meditati e sofisticati. Talvolta, in questo momento più tardo, vengono anche realizzate copie delle grafiche del primo periodo. Le stampe realizzate tra il 1907 e il 1914 sono oggi rarissime da trovare.
Intorno al 1920 il Cubismo raccoglie un buon successo commerciale. Anche le opere grafiche, di conseguenza, diventano appetibili sul mercato. Anche artisti che non avevano prodotto stampe cubiste in passato, si dedicano alla litografia, che riesce a riprodurre i linguaggi dei loro dipinti senza grossi problemi. Alla notorietà contribuisce anche la scena americana, con la galleria di Stieglitz e l’Armory Show nel 1913. Tra i fautori più importanti della continuità di diffusione della grafica cubista ci furono personaggi come Aimé Maeght, ma il vero mentore fu Daniel-Henry Kahnweiler.
Le tecniche di stampa al Bauhaus
Ampiamente rappresentata è anche la produzione a stampa uscita dagli ambienti del Bauhaus, dove le tecniche a stampa trovano presto una declinazione particolarmente produttiva nella grafica pubblicitaria e nella tipografia. Dapprima, sotto l’egida di Lyonel Feininger (il cui peso straordinario nella scena artistica del tempo è tutto sommato ancora da rivalutare), i laboratori furono impostati sulla ricerca artistica attraverso la stampa manuale con il torchio. Saranno poi l’altrettanto geniale László Moholy-Nagy (che introdusse altre tecniche d’avanguardia, come quella del fotomontaggio) e Herbert Bayer (che spinse nella direzione della ricerca in campo pubblicitario, inventando di fatto il graphic-design come lo intendiamo oggi) a connotare la produzione a stampa della scuola. Tralasciando questo aspetto tipografico, che si allontanerebbe dal focus della mostra, nel nostro percorso espositivo abbiamo voluto testimoniare l’attività in questo campo della scuola di Gropius con i lavori in incisione e in litografia di alcuni dei suoi più talentuosi professori: i già citati Moholy-Nagy e Feininger, ma anche Kandinskij, Paul Klee (con quello straordinario capolavoro che è Il funambolo) e Oskar Schlemmer (con una delle sue inconfondibili figure). Ma dal Bauhaus arrivano anche alcuni fogli di artisti meno direttamente coinvolti nella scuola, le cui stampe furono però inserite in cartelle a stampa ivi realizzate; è il caso, ad esempio, delle lito di Michail Larionov, di Natal’ja Gontcharova, di Alexsej von Jawlenksy e di Alexander Archipenko.
La stampa d’arte tra Ritorno all’Ordine e Surrealismo
Se il mondo dell’astrattismo è rappresentato in mostra nelle sue diverse linee di sviluppo (dalle precocissime incursioni nell’astrazione di Frantisek Kupka, alle forme sinuose già in clima surrealista di Arp, dalle composizioni geometriche di Veronesi a quelle meccaniche di Berlewi), anche la figurazione è presente con le sue infinite variabili: dalla Metafisica (con il suo padre fondatore Giorgio de Chirico, in mostra con tre stampe), al Ritorno all’ordine nelle sue più differenti declinazioni, fino alla scena europea del secondo dopoguerra.
Oltre agli esempi di Picasso e Matisse, possiamo citare la rabbiosa espressività di Grosz e Dix, il mondo onirico e unico di Marc Chagall, la tensione drammatica di Rouault (la cui sequenza di stampa oltre a rappresentare splendidamente la ricerca dell’artista costituisce anche un’interessante prova del processo delle varie fasi di realizzazione di un’incisione a colori), il recupero della tradizione Carrà, Morandi, Campigli, Marini, Casorati, Viviani, Bartolini, ma anche ricerche trasversali, più difficili da inquadrare, quali quelle di Le Corbusier o di Sutherland, Giacometti e Henry Moore. I linguaggi di questi ultimi tre artisti ci spingono verso linguaggi di ascendenza surrealista. In mostra non manca traccia dell’universo Dada e del movimento fondato da Breton. Oltre ad alcuni artisti già citati, quali ad esempio Hans Arp, raccontano questo versante una versione incisa del Grande vetro di Marcel Duchamp e alcuni capolavori di Miró, Tanguy, Ernst, Masson, Matta e Lam.
Le libere sperimentazioni dell’Informale
Con il secondo dopoguerra si approda alla stagione dell’Informale, quando le tecniche a stampa ritrovano il ruolo di territorio di sperimentazione che già avevano loro attribuito i movimenti d’avanguardia di inizio secolo.
Sono numerosi, per questa generazione, i casi in cui il lavoro a stampa ha portato gli artisti a mettere a fuoco questioni fondamentali nella definizione del loro stile: si pensi, ad esempio ad Hans Hartung che “grattando” il rame e lo zinco è arrivato a immaginare l’azione dell’incidere con vari strumenti la pasta fresca dei colori, divenuta poi il tratto distintivo della sua opera pittorica. Jean Dubuffet ha sempre ritenuto la sperimentazione nelle tecniche a stampa fondamentale per la propria ricerca. Anche altri artisti, ad esempio Emilio Vedova, esprimono in più occasioni il proprio amore per i processi di stampa. Bill Hayter organizza la propria vita artistica intorno al suo laboratorio: un luogo mitico, passato alla storia per aver accolto i più grandi artisti del Novecento ma anche decine di studenti e giovani emergenti. Hayter, tra l’altro, era convinto che “chi sta solo non arriva a nulla, perché non gli succede nulla” e il suo mettersi a servizio di altri per indagare con loro le infinite possibilità espressive delle tecniche di stampa (inventando procedimenti innovativi e approfondendo quelli già esistenti) è stato il motivo centrale della sua personalità artistica.
Nell’ambito dell’Informale al rapporto di fiducia che di consueto l’artista deve avere con il proprio stampatore si aggiunge la necessità di riprodurre anche in questo campo la qualità della materia e del segno che contraddistingue la produzione pittorica. Le combustioni di Burri, i buchi di Fontana, le superfici incise di Tàpies, il segno di Afro o il gesto cromatico dei CoBrA devono essere traslati nella bidimensionalità del foglio stampato. Straordinario è dunque l’apporto della sperimentazione tecnica condotta accanto agli stampatori, chiamati a ottenere risultati sempre più spericolati e innovativi.
Il ruolo dello stampatore
Il processo grafico si compie in laboratorio e, con poche eccezioni, necessita di una collaborazione: quella tra artista e stampatore. La loro relazione non è gerarchica e supera di gran lunga i confini tracciati tra ideatore ed esecutore. I due conducono una ricerca comune: se lo stampatore deve risolvere le questioni tecniche necessarie a rendere quanto l’artista ha in testa, quest’ultimo deve lasciarsi guidare dalla perizia e dal mestiere dello stampatore che può certamente offrirgli spunti di riflessione del tutto imprevisti.
I racconti lasciati dai grandi stampatori del Novecento, da Fernand Mourlot a Valter Rossi, sono illuminanti nella comprensione degli artisti. Anche i più noti e celebri – come Picasso – appaiono dai loro ricordi sotto una nuova luce. Talvolta, del resto, il rapporto tra stampatore e artista va ben oltre quello professionale: è noto come Picasso in vacanza preferisse portarsi Mourlot che i suoi mercanti o altri artisti. La scelta del laboratorio dove stampare le proprie lastre è fondamentale: solo con uno stampatore che capisca a fondo le esigenze dell’artista si ottiene il risultato immaginato e sperato.
Coloro che preferiscono stamparsi da soli i propri fogli, nella tranquillità del proprio atelier, costituiscono un’eccezione piuttosto rara, a fronte della grande maggioranza di artisti che amano affidarsi a un laboratorio specializzato, stabilendo con lo stampatore un rapporto di fiducia, collaborazione, scambio di idee, contaminazione, in un dialogo che spesso finisce per influenzare anche la produzione dell’artista in ambito pittorico.