LIGABUE E L'ARTE DEGLI OUTSIDER
LIGABUE E L'ARTE DEGLI OUTSIDER
ANTIQUARIUM
CENTURIPE
DAL 7 LUGLIO AL 3 NOVEMBRE 2024
Antonio Ligabue è uno dei casi artistici più complessi della storia dell’arte italiana. Chi è – o meglio: cos’è – Ligabue? Il matto del paese? Un genio? Un pittore fuori dagli schemi? Un uomo che ha saputo mettere nella pittura le proprie pulsioni esistenziali e le proprie paure più profonde? Un autodidatta che dipinge a propria insaputa capolavori senza tempo? Probabilmente Ligabue è tutto questo insieme. Una cosa è certa: la sua figura non si può in alcun modo riassumere nel breve (e confuso) spazio dell’arte naïf né descrivere come un’“anomalia” della scena artistica del secondo dopoguerra. Ligabue è stato un artista del e nel suo tempo, protagonista autonomo e originale di un’epoca di fermenti culturali molteplici ed eterogenei.
Visionario, sorprendente, capace di ritrarre giungle tropicali senza averle mai conosciute, di esorcizzare con le sue tele le paure più profonde e ancestrali dell’umanità intera, di costruire immagini che mescolano l’efficacia e la semplicità delle stampe popolari con accenti avanguardistici di matrice espressionista, di realizzare opere nelle quali un istinto primigenio, a tratti bestiale, si coniuga mirabilmente al controllo del segno e al gusto per l’ornato e uno straordinario afflato lirico dialoga con la potenza di una debordante fantasia, Antonio Ligabue è stato un artista a tutto tondo, una personalità che ci obbliga a superare le distinzioni tra normalità e anormalità, tra follia e salute mentale, tra arte colta e incolta.
Una riflessione sulla vicenda umana ed artistica di Ligabue invita, però, anche ad allargare l’ottica dell’indagine, aprendo il racconto ad altri outsider dell’arte del Novecento italiano. Il termine follia è, purtroppo, molto spesso abusato anche nella critica d’arte. Di artisti definiti matti, chiusi in manicomio, studiati per i loro disturbi psichici (e talvolta creduti interessanti proprio perché osservati da quest’ottica particolare) se ne contano a centinaia nella storia dell’arte; un motivo ricorrente – quasi un luogo comune – che ha finito per far perdere di vista il vero nocciolo della questione: la portata della lezione, la forza espressiva, la personalità di uomini che innanzi tutto erano artisti, talvolta artisti straordinari.
Quale artista non è folle? Quale sognatore non lo è? E poi cos’è la follia se non il nome che la “mediocrità del quotidiano” attribuisce a ciò che sfugge alla sua comprensione? Quella per la normalità è un’ossessione che genera una fobia: il terrore del diverso o, semplicemente, di chi nega gli schemi e vola un po’ più in là.
Ci sono artisti che hanno passato periodi (anche lunghi) della loro vita in strutture specializzate nelle cure psichiatriche. Quanto conta questo dettaglio biografico nella lettura del loro lavoro? Quanto la loro ricerca può e deve essere letta alla luce di questa permanenza? Dove finisce la follia e comincia l’originalità di pensiero, la diversità comportamentale, l’attitudine anticonformista?
Per condurre questa riflessione abbiamo scelto di affiancare il nucleo di opere di Antonio Ligabue con una selezione di artisti che, a livelli e per trascorsi biografici differenti, hanno lavorato fuori dai confini e dai codici. Alcuni di loro sono cresciuti e si sono formati seguendo iter tradizionali, hanno fatto parte degli ambienti ufficiali dell’arte, ma ne sono stati esclusi per dolorose esperienze personali. Altri ne sono stati estranei fin dagli esordi e hanno coltivato la loro vena creativa con percorsi autonomi e alternativi.
A parlare di loro – di tutti loro, del loro talento e della loro straordinaria personalità artistica – sono innanzi tutto le opere. Ed è proprio attraverso i loro lavori che la mostra racconta come la diversità, la complessità di pensiero e una spiccata sensibilità siano condizioni che appartengono al senso più profondo del fare arte.
Di artisti “irregolari” nella storia dell’arte se ne contano a centinaia. Uomini guardati con sospetto o considerati lontani dal comune buonsenso, diversi, insomma, dove questo aggettivo può assumere numerose e sottili sfumature.
Ci sono spiegazioni mediche di malattie della psiche che si manifestano con sintomi ben definiti, ci sono trattati e testi teorici che ce ne illustrano clinicamente modi, cure e possibili fattori scatenanti; ci sono, soprattutto, luoghi deputati per lo studio scientifico delle patologie e una mostra non è uno di quei luoghi, sebbene lo sguardo dell’arte sia sempre utile, perché foriero di inaspettati punti di vista. Di fronte alle storie degli artisti che la mostra accoglie – a partire proprio da Ligabue – è interessante invece osservare come spesso la follia sia un problema dell’altro, di chi è dentro al recinto della normalità (o pensa di esserlo) e teme – consciamente o inconsciamente – l’irruzione della diversità nel suo microcosmo. È una difesa spesso inconsapevole, un’attitudine tutta umana, di cui, diciamo la verità, in un modo o nell’altro siamo un po’ vittime tutti noi, che conduciamo una vita regolare e codificata.
Le accuse di “perturbatore morale” lanciate a de Pisis dal governo fascista la dicono lunga. Un atteggiamento fuori dagli schemi, un abito troppo vistoso, un’attitudine poco gradita (in questo caso l’omosessualità e la vocazione al dandismo dell’artista) sono sufficienti (e non solo in epoche particolari quali quella del regime) a spostare un uomo fuori dal recinto, chiudere il cancello, nascondersi dietro a finestre ben serrate.
Come osserva anche Vittorino Andreoli, lo psichiatra che ha accompagnato l’esistenza di Carlo Zinelli, oggi, per fortuna, si può essere artisti “senza aggettivi”.
In mostra opere di:
Antonio Ligabue
Filippo de Pisis
Rino Ferrari
Edoardo Fraquelli
Pietro Ghizzardi
Gino Sandri
Carlo Zinelli
ANTIQUARIUM
CENTURIPE
DAL 7 LUGLIO AL 3 NOVEMBRE 2024
Antonio Ligabue è uno dei casi artistici più complessi della storia dell’arte italiana. Chi è – o meglio: cos’è – Ligabue? Il matto del paese? Un genio? Un pittore fuori dagli schemi? Un uomo che ha saputo mettere nella pittura le proprie pulsioni esistenziali e le proprie paure più profonde? Un autodidatta che dipinge a propria insaputa capolavori senza tempo? Probabilmente Ligabue è tutto questo insieme. Una cosa è certa: la sua figura non si può in alcun modo riassumere nel breve (e confuso) spazio dell’arte naïf né descrivere come un’“anomalia” della scena artistica del secondo dopoguerra. Ligabue è stato un artista del e nel suo tempo, protagonista autonomo e originale di un’epoca di fermenti culturali molteplici ed eterogenei.
Visionario, sorprendente, capace di ritrarre giungle tropicali senza averle mai conosciute, di esorcizzare con le sue tele le paure più profonde e ancestrali dell’umanità intera, di costruire immagini che mescolano l’efficacia e la semplicità delle stampe popolari con accenti avanguardistici di matrice espressionista, di realizzare opere nelle quali un istinto primigenio, a tratti bestiale, si coniuga mirabilmente al controllo del segno e al gusto per l’ornato e uno straordinario afflato lirico dialoga con la potenza di una debordante fantasia, Antonio Ligabue è stato un artista a tutto tondo, una personalità che ci obbliga a superare le distinzioni tra normalità e anormalità, tra follia e salute mentale, tra arte colta e incolta.
Una riflessione sulla vicenda umana ed artistica di Ligabue invita, però, anche ad allargare l’ottica dell’indagine, aprendo il racconto ad altri outsider dell’arte del Novecento italiano. Il termine follia è, purtroppo, molto spesso abusato anche nella critica d’arte. Di artisti definiti matti, chiusi in manicomio, studiati per i loro disturbi psichici (e talvolta creduti interessanti proprio perché osservati da quest’ottica particolare) se ne contano a centinaia nella storia dell’arte; un motivo ricorrente – quasi un luogo comune – che ha finito per far perdere di vista il vero nocciolo della questione: la portata della lezione, la forza espressiva, la personalità di uomini che innanzi tutto erano artisti, talvolta artisti straordinari.
Quale artista non è folle? Quale sognatore non lo è? E poi cos’è la follia se non il nome che la “mediocrità del quotidiano” attribuisce a ciò che sfugge alla sua comprensione? Quella per la normalità è un’ossessione che genera una fobia: il terrore del diverso o, semplicemente, di chi nega gli schemi e vola un po’ più in là.
Ci sono artisti che hanno passato periodi (anche lunghi) della loro vita in strutture specializzate nelle cure psichiatriche. Quanto conta questo dettaglio biografico nella lettura del loro lavoro? Quanto la loro ricerca può e deve essere letta alla luce di questa permanenza? Dove finisce la follia e comincia l’originalità di pensiero, la diversità comportamentale, l’attitudine anticonformista?
Per condurre questa riflessione abbiamo scelto di affiancare il nucleo di opere di Antonio Ligabue con una selezione di artisti che, a livelli e per trascorsi biografici differenti, hanno lavorato fuori dai confini e dai codici. Alcuni di loro sono cresciuti e si sono formati seguendo iter tradizionali, hanno fatto parte degli ambienti ufficiali dell’arte, ma ne sono stati esclusi per dolorose esperienze personali. Altri ne sono stati estranei fin dagli esordi e hanno coltivato la loro vena creativa con percorsi autonomi e alternativi.
A parlare di loro – di tutti loro, del loro talento e della loro straordinaria personalità artistica – sono innanzi tutto le opere. Ed è proprio attraverso i loro lavori che la mostra racconta come la diversità, la complessità di pensiero e una spiccata sensibilità siano condizioni che appartengono al senso più profondo del fare arte.
Di artisti “irregolari” nella storia dell’arte se ne contano a centinaia. Uomini guardati con sospetto o considerati lontani dal comune buonsenso, diversi, insomma, dove questo aggettivo può assumere numerose e sottili sfumature.
Ci sono spiegazioni mediche di malattie della psiche che si manifestano con sintomi ben definiti, ci sono trattati e testi teorici che ce ne illustrano clinicamente modi, cure e possibili fattori scatenanti; ci sono, soprattutto, luoghi deputati per lo studio scientifico delle patologie e una mostra non è uno di quei luoghi, sebbene lo sguardo dell’arte sia sempre utile, perché foriero di inaspettati punti di vista. Di fronte alle storie degli artisti che la mostra accoglie – a partire proprio da Ligabue – è interessante invece osservare come spesso la follia sia un problema dell’altro, di chi è dentro al recinto della normalità (o pensa di esserlo) e teme – consciamente o inconsciamente – l’irruzione della diversità nel suo microcosmo. È una difesa spesso inconsapevole, un’attitudine tutta umana, di cui, diciamo la verità, in un modo o nell’altro siamo un po’ vittime tutti noi, che conduciamo una vita regolare e codificata.
Le accuse di “perturbatore morale” lanciate a de Pisis dal governo fascista la dicono lunga. Un atteggiamento fuori dagli schemi, un abito troppo vistoso, un’attitudine poco gradita (in questo caso l’omosessualità e la vocazione al dandismo dell’artista) sono sufficienti (e non solo in epoche particolari quali quella del regime) a spostare un uomo fuori dal recinto, chiudere il cancello, nascondersi dietro a finestre ben serrate.
Come osserva anche Vittorino Andreoli, lo psichiatra che ha accompagnato l’esistenza di Carlo Zinelli, oggi, per fortuna, si può essere artisti “senza aggettivi”.
In mostra opere di:
Antonio Ligabue
Filippo de Pisis
Rino Ferrari
Edoardo Fraquelli
Pietro Ghizzardi
Gino Sandri
Carlo Zinelli