ANDREA CEREDA

Da sempre Andrea affida alle lamiere un portato biografico, anche là dove pare impossibile trovarne traccia spunta sempre il cenno esistenziale, la lama affilata di un pensiero che non perdona perché osserva e seziona. Le suture in metallo che, fin dai primi lavori, tenevano faticosamente insieme pezzi di lamiera (o addirittura di materiali diversi, rendendo due estranei una sola entità), le ferite, le lacerazioni, le ruggini sulla superficie delle sue sculture già parlavano ampiamente di un percorso tutto personale; un percorso che si liberava poi nel segno sottile delle sculture più recenti, più leggere e ariose, quasi disegnate nell'aria, ma comunque intense e dure, come duri sono i punti di saldatura del ferro e la ruggine e le vernici scrostate sulla superficie. Nelle opere di Cereda c'è traccia di quelliistintiva autodifesa che spesso è assai difficile da domare e di quella vocazione alla solitudine e all'individualismo che si può combattere grazie agli affetti personali o grazie a un'attitudine epica, che trasforma il navigatore solitario in un eroe. Non credo sia un caso che Andrea nutra da sempre una certa passione per Ulisse. Chi meglio di Ulisse incarna la sete di conoscenza, ma anche la capacità di sacrificare il resto per assecondarla? "In ognuno di noi c'è qualcosa di irrisolto", scrive Cereda, "qualche relitto fluttuante nell'inconscio. Crediamo di averli dimenticati, e lasciati alle spalle, ma proprio perché mai definitivamente affrontati, questi temi irrisolti, all'improvviso come dal nulla, possono riemergere con tutta la loro forza agitando le acque del nostro vivere". Sono questi irrisolti, con una forte connotazione biografica e privata, a guidare la mano di Cereda in queste tre installazioni, realizzate, tra 'altro, proprio in occasione di questa mostra. Cereda non ama viaggiare. Il suo viaggio non prevede spostamenti nello spazio né il passaggio da un luogo a un altro. Il suo viaggio è quel processo di sviluppo e cambiamento a cui ciascun essere vivente è sottoposto anche suo malgrado. Le sue opere in mostra portano la traccia di questa immobilità dinamica - mi si perdoni l'ossimoro - di questa riflessione sul proprio vissuto, sullo scorrere del tempo, di un particolare tipo di viaggio che ci riguarda tutti, viaggiatori e non.
(dal testo pubblicato nel catalogo della mostra From a to A, Spazio heart, Vimercate 2014)


Vulcanico, cerebrale, lucidissimo nel suo disarmante spirito critico, Andrea Cereda è approdato all'arte passando da una lunga esperienza nel mondo della pubblicità e di quel mestiere egli conserva l'attitudine per il concetto forte, l'immagine efficace e il messaggio chiaro. Dopo un esordio come pittore figurativo (con una mano sorprendente nel disegno, per cui ha un vero talento naturale), Cereda ha trovato il proprio materiale d'elezione nella lamiera di ferro, lamiere trovate e recuperate, a cui egli dona una nuova vita. Alle sue opere Andrea affida sempre un portato biografico: anche là dove pare impossibile trovarne traccia spunta sempre, infatti, il cenno esistenziale, la lama affilata di un pensiero che non perdona perché osserva e seziona. Le suture in metallo che, fin dai primi lavori, tengono faticosamente insieme i pezzi di ferro (o addirittura di materiali diversi, rendendo due corpi estranei una sola entità), raccontano un percorso tutto personale. Forzatamente cucite fra loro, le lamiere di Andrea raccontano la difficoltà delle convivenze che la vita ci propone o ci impone. Le convivenze tra materie diverse, tra pezzi di natura differente si fanno dunque simbolo di un'esperienza tutta umana, che nasce individuale ma che può certo diventare universale. Nelle sue opere c'è traccia di quell'istintiva autodifesa che spesso è assai difficile da domare e di quella vocazione alla solitudine e all'individualismo che si può combattere solo grazie agli affetti personali o a un'attitudine epica, che trasforma il navigatore solitario in un eroe. Con un processo coerente e lineare, Cereda è passato dai suoi primi lavori dalle superfici ruvide ed erose, in bilico tra opere da parete e scultura, visivamente forti e potentemente espressive, a un progressivo svuotamento delle forme, in una sequenza di oggetti dapprima rabbiosi e istintivi e poi sempre più ponderati, meditati, dal respiro classico e assoluto, a dispetto della loro modernità di linguaggio, monumentali anche quando realizzati in piccole dimensioni e sempre elegantissimi; l'eleganza, del resto, è una delle grandi virtù dei lavori dell'artista: un'attitudine estetica anticonformista, imprevedibile, che si rivela in accordi cromatici di grande raffinatezza e nella ricerca di un equilibrio armonico sempre raggiunto. Un percorso che si libera nel segno sottile delle sculture più recenti, più leggere, quasi disegnate nell'aria, ma comunque intense e dure, come duri sono i punti di saldatura del ferro, la ruggine e le vernici scrostate.
(dal testo pubblicato nel catalogo della mostra We love sleep, Galleria Santa Radegonda, Milano Skira 2015)


Andrea Cereda ha un talento naturale per il disegno. Le sue opere figurative, stilisticamente originali e decisamente affascinanti, gli garantirebbero una strada sicura verso un ampio riscontro di pubblico. Ma Cer ha scelto un percorso irto di difficoltà, che lo ha portato da una pittura di figura di forte impatto - e piuttosto tradizionale, pur nella sua originalità - a una ricerca che trova nella materia il proprio mezzo espressivo. Fin dagli esordi, Andrea Cereda dimostra una sensibilità profonda per l'Uomo, un Uomo raccontato in tutte le sue sfumature, mostrandone con implacabile quanto disarmante evidenza le debolezze e le paure, ma anche le speranze e le emozioni. Quella ritratta da Cer è un'umanità qualunque, spesso ai margini, ma nel cui sguardo talvolta, del tutto inaspettatamente, si percepisce un lampo di orgoglio, di forza d'animo, pronto a ricordarci che, per quanto solo o disperato, in ogni Uomo può nascondersi un Ulisse pronto a sfidare il destino. Ne costituiscono un ottimo esempio le tele dedicate al pugilato, una serie che costituisce una costante nella produzione dell'artista e che rappresenta perfettamente - sia dal punto di vista tecnico che da quello dei contenuti - la sua idea di figurazione. Ma Andrea Cereda è innanzi tutto un uomo curioso e vulcanico, che, forte di una straordinaria vena creativa, di un'indispensabile autoironia e di un'intelligenza vivace, non ha paura di rimettersi in discussione e di sperimentare nuove strade, concedendosi anche momenti di riflessione destinati a restare un'eccezione nella sua produzione (come nel caso dell'installazione Eco dell'Uomo, creata per l'esposizione collettiva La guerra dell'Arte). Così, seguendo la propria sensibilità, Cereda ha cercato - e trovato - nuovi linguaggi con cui raccontare le difficoltà dell'esistenza e i comportamenti umani. Coerente con la propria ricerca tematica, è approdato alla materia, dapprima con la serie delle Convivenze, in seguito con quella delle Erosioni. Nelle prime opere è il legno il vero protagonista. Pezzi di legno di differente natura e provenienza, esistenze lontane, ciascuna con la propria storia, ciascuna con i segni delle proprie esperienze, che si incontrano e convivono; cuciture di metallo o di corda trattengono insieme due realtà diverse: è il disperato, violento, tentativo di mettere d'accordo due anime molto (per non dire troppo) distanti o la felice unione di due esistenze che finalmente hanno trovato l'una nell'altra la felicità? Ciascuno tiri le proprie conclusioni, perché i racconti che le Convivenze di Cereda portano con sé sono molteplici e ricchi di sfumature e aprono riflessioni che, partendo dall'esperienza personale, finiscono per riguardare tutta l'Umanità. Sebbene costruite su equilibri di linee e colori, non si tratta, dunque, in alcun modo di opere astratte, esse sembrano nascere dalla medesima intenzione delle tele figurative degli esordi. Dalle Convivenze il passaggio alle Erosioni è quasi dovuto. Là dove la socialità fallisce non resta che la chiusura in se stessi, sentita quasi come una necessità, come l'unico rifugio possibile per non dovere alterare i propri equilibri. La possibilità di trovare un accordo tra elementi diversi nelle Erosioni è drammaticamente negata. L'altro è rifiutato, percepito come agente estraneo che viola il proprio privato, un agente a cui è necessario ribellarsi. Ecco l'erosione: la reazione istintiva della materia all'elemento estraneo che la sta attaccando. Ancora una volta, dunque, la materia si fa interprete di comportamenti umani, di paure lecite e altrettanto lecite reazioni. Le superfici saldate, spaccate, corrose dall'acido, sottoposte alla fiamma ossidrica, diventano metafora del disagio, del disperato tentativo di modificare le proprie abitudini, perfino il proprio aspetto, per riuscire a sopravvivere. Con le Erosioni Cereda porta a compimento lo sviluppo nella terza dimensione già ipotizzato nella serie precedente e, soprattutto, scopre la propria materia d'elezione, la lamiera di ferro. Partendo dalle Erosioni la ricerca dell'artista si è evoluta con invidiabile coerenza, esaltando passo dopo passo la potenzialità espressiva della materia: una materia povera ma "parlante", già straordinariamente espressiva ancor prima che l'artista cominci a modificarla. A mio parere è proprio in queste lamiere che risiede il vero apice del suo lavoro. Lamiere abrase, aggredite, cucite, accarezzate, piegate, che da rottami raccolti in discarica, o da vecchi bidoni usati negli orti per raccogliere l'acqua, diventano oggetti profondamente espressivi, emozionanti, a tratti perfino poetici. Ci vuole tempo per capire le lamiere di Cer. Occorre osservarle in silenzio, in momenti diversi, guardarle per ciò che sono ora e per ciò che sono state, pensare al loro percorso e a cosa lo sguardo e le mani dell'artista le hanno fatte diventare. Bisogna godere dapprima della loro innegabile armonia estetica, il loro equilibrio. Poi percepirne i colori, i passaggi, gli accostamenti. Sentirne la materia. Infine pensare al loro tempo. Al racconto che portano in sé, trasformato ma mai cancellato. Pieni di istinto, quasi di rabbia, eppure al contempo tanto ordinati e razionali, questi oggetti monumentali (anche quando sono di piccola dimensione) hanno sempre un respiro classico, assoluto e un'eleganza incantevole ma capricciosa, a tratti perfino un po' sprezzante e sempre anticonformista.
(da un testo del 2009)