GAETANO ORAZIO

Gaetano Orazio
Un luogo cui somigliare. La perfetta comunione con la Natura. Sentirsi tutt’uno, un unico battito, un unico respiro, con l’ambiente circostante.
Pochi artisti sono così legati al territorio – inteso come terra, erba, acqua e cielo e non certo come società – come lo è Gaetano Orazio. Della sua terra (una terra peraltro adottiva) Gaetano conosce ogni segreto. Siede sulla sponda del fiume, sfiora i sassi, parla con le salamandre. Lascia che la suggestione degli elementi entri nella sua tavolozza, segnando nel profondo le sue opere. E spesso è la Natura stessa a suggerirgli i temi: la Natura nella sua solo apparente casualità; ieri lo scorrere del torrente, oggi un gruppo di lepri sul prato, domani chissà.
Questi momenti di lentezza, di riflessione solitaria, sono un lusso che ora Gaetano può permettersi. Perché ora Gaetano è un uomo libero. Libero di fermarsi a guardare i fiori selvatici della cicoria cresciuti al bordo di una strada, libero di seguire il volo di una libellula, libero di circondarsi di persone gli piacciono, di lasciare che il dormiveglia mattutino gli porti nuove suggestioni, libero di dipingere e, soprattutto di non dipingere quando non è il momento giusto, quando manca l’estro. La sua è una libertà vera, tangibile, percepibile in ogni suo piccolo gesto, in ogni segno da lui tracciato. Una libertà che gli permette di non avere schemi nel lavorare; e se Orazio riesce a essere coerente con se stesso pur nella molteplicità dei temi affrontati e a seguire una precisa linea di ricerca non è per scelta cosciente, ma perché a questo lo porta un’innata vocazione.
Per conquistare il prezioso dono della libertà Gaetano ha lottato e compiuto scelte non semplici. Ha preso decisioni importanti quando andavano prese, ha lasciato il suo posto di lavoro in fabbrica, l’apparente garanzia di stabilità, la presunta fonte di benessere che lo stava invece chiudendo in gabbia, togliendogli l’aria: privandolo della libertà, appunto.
In questo suo cammino, nella realizzazione del suo sogno, la pittura ha svolto un ruolo fondamentale. Gaetano Orazio non ha fatto queste scelte per la pittura, ma con la pittura.
L’arte accompagna Gaetano fin dai tempi del lavoro in fabbrica, dai primi anni Ottanta, quando comincia a disegnare e dipingere scorci degli edifici industriali che lo circondano e momenti di lavoro in catena di montaggio. Fin dalle prime prove dimostra una straordinaria sicurezza nel segno grafico e nell’uso del colore; un tratto deciso, istintivo e personale caratterizza anche le opere più ingenue, quelle degli esordi, dove un’impostazione ancora tradizionale lascia percepire qua e là spunti di notevole originalità. C’è già quel gusto per il segno forte, per lo “sporcare la tela”, per usare una felice espressione coniata per lui da Testori.
L’uomo al lavoro – l’homo faber – è il vetro protagonista di queste prime opere. Del resto è la vita della fabbrica a scandire la sua esistenza quotidiana. Ed è proprio la ripetitività dei tempi, dei gesti, dei suoni, forse anche dei pensieri a soffocarlo. Un’alienazione che segna profondamente le opere realizzate agli esordi, dove uomini senza volto, scuri come ombre, lavorano, faticano, riposano, imprigionati in un meccanismo senza via d’uscita. Sono opere che raccontano il lavoro senza ipocrisie, scevre da ogni tentazione demagogica. Lentamente Orazio impara ad adattarsi, a sopravvivere dentro e fuori, come una salamandra, che può stare in acqua ma sa anche respirare l’aria. Sa lavorare in catena di montaggio ma anche assaporare la libertà della creazione artistica. La salamandra è la sua nuova compagna di viaggio; racchiude in sé gli elementi: l’aria e l’acqua, ma anche la terra e il fuoco. Nascono dipinti di straordinaria forza espressiva, dove i toni cupi del bruno e del nero trovano inaspettate accensioni nelle macchie gialle dell’animale e nelle energiche pennellate rosse che fanno da contrappunto.
(2009)

 

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