SILVIA SERENARI

C’è una profonda differenza tra guardare e vedere. La medesima differenza che c’è tra vedere e vedere oltre, vedere al di là delle convenzioni, esplorare da punti di vista differenti, fino a percepire la realtà diversa da quale essa è o si presuppone che sia, condizionati dai luoghi comuni e dai cosiddetti bias cognitivi. Esiste, invece, una realtà separata, o quanto meno la possibilità di essa; è proprio questa possibilità che Silvia Serenari rende visibile e percepibile smontando elemento per elemento un brano di realtà quotidiana, per tradurlo sul piano dell’immaginazione.
L’operazione di stravolgimento e ricomposizione a cui l’artista sottopone lo scatto raccolto dal “vero”, strappandolo alla sfera del reale, ha come esito figure dall’eleganza rigorosa, simili a mandala o visioni da caleidoscopio: geometrie ideali, reticoli perfetti dall’affascinante portato estetico. Come piccole e incantevoli sirene, queste affascinanti presenze catturano così l’attenzione del fruitore, inducendolo a spingere il proprio sguardo sempre più a fondo, nel tentativo di comprendere qualcosa di più, di riportarle a quel dato reale da cui sono nate ma del quale hanno perso completamente l’aspetto originario. Ma queste enigmatiche figure, isolate e sospese in strutture quadrate e monocrome che le incasellano con precisione cartesiana quasi fossero molecole guardate al microscopio, portano in sé il segreto dell’oggetto che le ha generate e non lo tradiscono. Esse sembrano rivelare, piuttosto, la struttura delle cose, ciò che sottende al dato esteriore, reso visibile in forme che sono al contempo sintetiche e naturali, immobili e mutevoli, in un continuo gioco di rimandi visivi e déjà vu. Nella loro geometrica eleganza, ricordano la bellezza dell’iconoclastia islamica ma anche la ricerca dei matematici umanisti, la possibilità di suggerire la perfezione del creato attraverso il segno, il numero, l’armonia delle proporzioni. Nella loro delicatezza hanno, invece, qualcosa di rassicurante: l’incanto magico di un caleidoscopio, la famigliare ripetizione delle forme di un merletto o di un centrino all’uncinetto, la serenità riflessiva di un mandala.
Per realizzarli Silvia parte dal mondo che la circonda: un particolare architettonico di Santa Maria del Fiore (Anima Urbis iter perfectionis), i rami di un albero (Anima arboris), una ciocca dei suoi capelli entrata per caso nello scatto fotografico in un giorno di vento (Iter Mysticum), le onde del mare (Fluctuationem meam). Per spiegare il proprio approccio alla realtà l’artista cita Bachelard, che in Psicanalisi delle acque sostiene che “prima di essere un paesaggio cosciente, ogni paesaggio è un’esperienza onirica”. E cosa altro se non un’esperienza onirica sono, a guardar bene, i paesaggi di Silvia Serenari? Un’esperienza sempre sostenuta, però, da un serio lavoro di ricerca e inquadramento culturale, e nutrita da riferimenti alle filosofie orientali, alle diverse mitologie, alla teologia, alla cosmologia e alla letteratura.
La mostra presenta quattro significativi progetti realizzati dalla Serenari in questi ultimi anni. Il primo, Anima urbis iter perfectionis prende vita da uno scatto fotografico a un particolare architettonico di Santa Maria del Fiore. Facendo rotare l’immagine sul proprio asse l’artista ha ottenuto forme che evocano suggestioni visive proprie dell’architettura mediorientale ed orientale, in un gioco di rimandi tra luoghi di culto di religioni solo apparentemente distanti. “Anima Urbis, iter Perfectionis”, spiega l’artista, “è un cammino di perfezione che dalla manifestazione, volge alla ricerca del Principio Creatore. Il luogo di partenza è la cattedrale di Santa Maria del Fiore, che nel 1412 fu così intitolata con chiara allusione al Giglio simbolo della città. Attraverso i simboli che sono legati a questo fiore si apre un sentiero di ricerca del Divino. Il Giglio come il Loto è considerato un fiore simbolico ed il suo sbocciare rappresenta lo sviluppo della manifestazione, per questo motivo viene spesso associato alla Ruota. La ruota è il simbolo del mondo e la rotazione è la figura del continuo mutamento a cui sono sottoposte tutte le cose manifeste, movimento nel quale c’è solo un punto fisso ed immutabile: il Centro. La fissità del Centro è l’immagine dell’Eternità in cui tutte le cose sono presenti in perfetta simultaneità, dove la dualità si riconduce all’Unità, condizione accessibile mediante la visione interiore simbolicamente espressa dall’Occhio”.
Altrettanto evocativa è Anima Arboris, la seconda serie di lavori, dedicati alla simbologia dell’albero come principio di vita, longevità, rinascita e rigenerazione.
Iter Mysticum, invece, nasce da una ciocca di capelli dell’artista mossa dal vento e finita per caso davanti all’obiettivo fotografico. Per la Serenari questo ciclo è “un cammino mistico legato al femminile, alla naturale predisposizione che la donna (Anima, vapore esteriore e sensitivo) ha, ad accogliere ciò che dall’esterno si rivela”. È il vento a suggerirle la direzione: “il vento è considerato una manifestazione soprannaturale che rivela le intenzioni degli Dei”. I capelli, invece, “sono simbolo della forza divina. Tutti i riti concernenti i capelli hanno un senso sacro”, spiega ancora l’artista, “Nell’iconografia Indù sono in rapporto con Vayu il Dio del vento. La nuvola come hanno dimostrato visionari e mistici è un mezzo grazie al quale il divino si può avvicinare ai mortali. La nuvola è il passaggio dalla vista alla visione, fa da schermo tra il sapere, le percezioni degli uomini e le realtà divine. Questo schermo è al tempo stesso l’espressione dei nostri limiti, e velo protettore per il mortale che si brucerebbe al contatto immediato con il divino. La bocca è la sede del soffio vitale, simbolo di vita, che raggruppa quelli del respiro, del nutrimento, della parola. La bocca è la principale porta del corpo, molte credenze la designano come indissociabile dall’anima. Tutto quello che esce dalla bocca degli dei è sacro. La loro parola può talvolta essere udita dagli uomini. La bocca degli dei è anche creatrice attraverso la parola il (verbo)”.
E infine le onde del mare di Fluctuationem meam: onde fluttuanti in un mondo altrettanto fluttuante (ukiyo-e, direbbero i giapponesi) che cullano i pensieri e sollecitano le fantasticherie, trasportandoci in una dimensione altra, sospesa e onirica, intima e poetica.
Tutto questo complesso sistema di pensieri speculativi, citazioni, riferimenti interculturali e pluridisciplinari, Silvia Serenari riesce a racchiuderlo nelle sue piccole e raffinate composizioni fotografiche, silenziose e discrete nell’apparenza, ma profonde e coltissime nell’essenza. Mai fidarsi del primo sguardo. Meglio cercare di vedere.

(Da catalogo mostra alla Galleria E3, Brescia)

 
 
 
 
 
 
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